La “Bibliografia di Bettino Craxi”, linea Maginot del riformismo socialista
Alle radici delle moderne socialdemocrazie europee
In questi giorni cosiddetti “di festa”, che per uno che fa il mio lavoro sono giorni esattamente come tutti gli altri, mi sono messo a parare il disastro che a casa mia sta diventando immane. Ossia la lotta con la carta – libri e riviste e giornali – che mi arriva un giorno dopo l’altro e si ammucchia e giace e non sai più dove diavolo sia quel libro o quella plaquette o quella rivista o quella lettera di un amico che stai cercando e di cui hai bisogno. E’ una lotta che da alcuni mesi sto perdendo, io che pure me ne faccio una religione del conservare per bene carta e carte, ovvero di attendere alla architettura della mia anima.
Ed ecco che ritrovo finalmente un libretto, “Bibliografia di Bettino Craxi e dintorni”, che mi aveva spedito qualche mese fa il bolognese Piero Piani, uno dei più intelligenti librai antiquari italiani specializzati nel libro novecentesco. Libretto che era accompagnato da una lettera di Piero: “Solamente in questi giorni mi è capitata in mano la tua ultima fatica letteraria […] Una domanda: ricordi sì Giuliano Ferrara e parli di tutti i giornali dove hai lavorato, tranne uno: il Foglio, con una tua rubrica che sempre era la prima cosa che leggevo di quel bel giornale al quale sono abbonato, pensa te, ancora oggi e dal primo anno. Abbonamento cartaceo ça va sans dire! Vi ho però visto di recente un tuo articolo, la settimana scorsa […]”. E difatti era la settimana in cui avevo riavviato la collaborazione al Foglio, collaborazione alla quale Claudio Cerasa ha voluto dare la stessa intestazione della mia rubrica di quindici anni fa, “Uffa!”, quella che era stata una collaborazione tra le più sollecitanti della mia intera vita professionale. Non ne avevo parlato nel mio libro cui si riferisce Piero (“Confessioni di un rinnegato”) per il fatto semplicissimo che di quei testi brevi e nervosi avevo deciso di trarne un volume per Marsilio che uscirà difatti a metà gennaio.
Torniamo alla “Bibliografia”, apprestata e prefata da Piero, che è poi la ragion d’essere dell’articolo che state leggendo, e questo a vent’anni dalla morte di Bettino Craxi e nel momento in cui il sindaco di Milano accenna all’eventualità di dedicare una strada del capoluogo lombardo all’uomo che ha cambiato la traiettoria della storia politica della sinistra italiana, un leader politico senza il quale non si capisce nulla degli anni Settanta e Ottanta del nostro paese. Altro che il nome di una via. E difatti il minimo comune denominatore degli oltre mille volumi della “Bibliografia” è che hanno al cuore dei loro ragionamenti il Psi per come Craxi ne aveva rimodellato e “revisionato” la fisionomia a farne un moderno partito riformista europeo. Mille volumi amorosamente raccolti da un libraio competente e appassionato, schedati e messi in vendita. Una linea Maginot di quel riformismo socialista, di cui lo stesso Massimo D’Alema – e seppure molti anni dopo – dirà che avevano ragione loro, e laddove ancora agli inizi degli anni Settanta molti intellettuali “organici” del Pci non la finivano di vantare il loro “leninismo” calzato e vestito. Non faccio nomi e riferimenti più precisi per compassione intellettuale. E del resto c’è qualcuno al mondo che alla domanda su chi avesse ragione tra l’Enrico Berlinguer secondo cui solo negli anni Ottanta “il comunismo leninista” avesse perso la sua carica “propulsiva” e il Bettino Craxi che per vent’anni aveva denunciato come “un orrore” tutto ciò che stava a est del Muro di Berlino, risponderebbe che aveva ragione il primo? Era valsa la predizione che Filippo Turati aveva lanciato dalla tribuna del congresso di Livorno del 1921, quello in cui i futuri comunisti italiani si erano separati dal Psi “pur di fare come in Russia”. “Avete sbagliato, ma tornerete da noi”, disse Turati a tipini quali Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Angelo Tasca, Umberto Terracini. E difatti nel 1989 quell’insegna divenuta infamante, “comunisti”, gli eredi degli scissionisti del 1921 la buttarono giù quale un ferrovecchio.
Nella sua accorata prefazione alla “Bibliografia”, Piani racconta come nacque in lui la passione o meglio la dedizione al socialismo riformista o al liberalsocialismo che dir si voglia. Nei primi anni Sessanta bolognesi lui era tra quelli che frequentavano tanto la redazione bolognese dell’Unità quanto la casa di un ex partigiano e intellettuale comunista di gran valore, Antonio Meluschi, oltretutto il marito di Renata Viganò, l’autrice de “L’Agnese va a morire” che non uno di noi ventenni degli anni Sessanta scansò dal leggere. Una casa che a Bologna frequentavano Roberto Roversi, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani. Ebbene un giorno Meluschi riferì a quei ventenni d’essere tutto contento che all’Unità gli avevano accettato un articolo e pur correggendone “la linea”. Il giovane Piani sbiancò, perché reputava che Meluschi valesse intellettualmente due o tre volte il capo della redazione bolognese dell’Unità ed era dunque inaudito che quest’ultimo “correggesse” un suo articolo. Appunto.
Mille volumi. L’edizione italiana del “Socialismo liberale”, il sacrale libro pubblicato nel 1931 da Carlo Rosselli in Francia. Tutti i libri di Norberto Bobbio, il padre indiscusso del liberalsocialismo italiano. I libri e librini del Pietro Nenni che rompe con il Pci staliniano degli anni Cinquanta. Tantissimi libri e librini e opuscoli di Bettino Craxi, ad esempio quello dedicato al “rinnegato Silone” o il libro “Pluralismo o leninismo” edito dalla Sugar di Massimo Pini e nel quale di certo aveva messo mano Luciano Pellicani. Un volume in francese di Pialuisa Bianco, direttore dell’Indipendente dopo Vittorio Feltri, dal titolo “La nuit de l’Achille Lauro”. Un album a colori del 1992 con i testi di Arrigo Petacco e una storia a fumetti di Hugo Pratt e una prefazione di Craxi, “Un cuore garibaldino 1892-1992”. Libri e discorsi di Claudio Martelli di quando aveva poco più di trent’anni, e dunque l’età del Luigi Di Maio di cui il sociologo Domenico De Masi ha detto che solo Cristo alla sua età ne sapeva tanto. Che ne dite di fare un paragone tra il giovane Martelli e il giovane Di Maio, così tanto per ridere?
E ancora. I testi più ardenti del socialismo di sinistra. Da Riccardo Lombardi al Raniero Panzieri che dà vita ai “Quaderni rossi”, la rivista madre dell’operaismo italiano. Le “Lettere di un traditore” dell’ex comunista divenuto craxiano ardentissimo Giuliano Ferrara. I libri di tutti quelli che avevano arato il terreno, Gaetano Arfé, Giuseppe Tamburrano, Roberto Guiducci, Antonio Landolfi, Piero Melograni, libri tutti che quando li lessi nei miei venti e trent’anni era come se mi facessero uscire da un ingorgo perché mi insegnavano la strada di una libertà responsabile, di una solidarietà possibile, di una democrazia che ne valesse la pena perché non toglieva nulla a nessuno e non minacciava nessuno. Il socialismo possibile, ovvero le moderne socialdemocrazie europee.
Mille e oltre volumi. Il prezzo è a richiesta.