Uffa!
La biblioteca di Malabotta è uno scrigno di passioni e un pezzo di grande storia
Il catalogo del libraio triestino Simone Volpato getta luce sulla passione bibliofila del grande collezionista di quadri Manlio Malabotta, sedicente rigattiere, orgoglioso di possedere
La miniera aurea rappresentata dalle collezioni d’arte e letteratura care lungo una vita al notaro triestino Manlio Malabotta non finisce di offrire ritrovamenti preziosi. Era nato a Trieste nel 1907 da un padre capitano di mare che di nome faceva Malabotich e da una madre dalmata figlia di un armatore. Nel 1929 s’era laureato in Giurisprudenza all’università di Padova e, affamato d’arte e di letteratura, s’era subito dato a scrivere sulla pagina d’arte del quotidiano Il popolo di Trieste e lo fa assiduamente per sei anni, finché non mette su casa a Montona d’Istria dove esercita il mestiere di notaio che gli darà la forza economica di poter comprare i quadri più belli di Filippo De Pisis, i libri più rari degli scrittori triestini di razza.
Montona d’Istria era un antico borgo medievale a 270 metri sul livello del mare, dove i soldati titini irrompono negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale tanto che nel secondo Dopoguerra Montona d’Istria entrerà a far parte della Croazia. L’appartamento di Malabotta a Montona viene occupato e devastato. Più nessuna notizia dei 7.000 volumi che costituivano la sua raffinata biblioteca privata.
Nel Dopoguerra Malabotta riprende l’attività di notaio a Volpago del Montello mentre si fa fitta la sua frequentazione e relativa collezione dei pittori triestini di più alto rango, Vittorio Bolaffio, il Giorgio Carmelich che lui aveva saputo intercettare già nel 1930, Arturo Fittke, Arturo Nathan.
Malabotta muore sessantottenne nel 1975. Sarà la moglie Franca (nata nel 1924) a donare nel 2017 al Museo Revoltella di Trieste una prestigiosa scelta dei pittori triestini collezionati dal marito, mentre prima era stato un museo di Ferrara ad acquisire l’eccezionale raccolta di quadri e disegni di De Pisis che Malabotta era andato via via comprando dallo scrittore Giovanni Comisso. Franca Malabotta è morta l’anno scorso. Che ne restava della mitologica collezione di libri del marito, uno che era stato a tu per tu con Umberto Saba, Roberto Bazlen, Anita Pittoni, Virgilio Giotti? Non poteva non essere Simone Volpato, il libraio antiquario triestino che qualche anno fa aveva scovato l’eccezionale fondo archivistico della casa editrice Zibaldone di Anita Pittoni, a dare una risposta. Sotto forma di un catalogo che i suoi clienti riceveranno a fine aprile dal titolo “La biblioteca di Manlio Malabotta”, uno che di sé diceva: “Compero sempre libri. Sono un collezionista, un rigattiere, un orgoglioso, non un letterato”.
Quando parliamo di una biblioteca – come sa bene Marco Menato che la collezione Malabotta l’ha esplorata in lungo e in largo –, non ci riferiamo a un cumulo di carte e bensì a qualcosa che ha vita a sé, palpita, rifrange il destino di un uomo e le sue passioni. Passioni che nel caso di Malabotta erano affinate e numerose. Di quella per Giorgio Riccardo Carmelich, il precoce ed estrosissimo poeta triestino che volgeva al futurismo, abbiamo già detto. Ed ecco che nel catalogo Volpato compaiono un paio di primizie assolute. La prima nove paginette dattiloscritte in blu e nero e rosso e legate artigianalmente che portano in copertina la scritta “Ridolini / e altri / corridori”, la seconda un pirotecnico fascicoletto presentato al modo di un catalogo della Bottega di Epeo, la casa editrice di Carmelich e Emilio Mario Dolfi, di cui un Filippo Tommaso Marinetti che in fatto di generosità intellettuale non si risparmiava nulla scrive così: “Sarà un onore diventare un autore di Epeo ma la fila dei pretendenti è elevatissima e l’esame molto severo”. E siccome anche i “ragazzi di Epeo” non si risparmiavano nulla in fatto di spacconate, ecco che nel loro catalogo annunciano che il “Ridolini” verrà stampato in 200 mila copie. Alla faccia di chi se le può permettere tali spacconate, e comunque ancora ci commuove che quei ventenni triestini di un secolo fa se le siano permesse. E seppure i libri futuristi non fossero al vertice delle aspirazioni collezionistiche di Malabotta, nel catalogo compaiono una quindicina dei loro libri e cataloghi di mostre fra i più belli.
Da collezionista Malabotta rimbalzava di palo in frasca. C’erano i futuristi, i libri più importanti di poeti quali Giorgio Caproni, Sandro Penna, Vittorio Sereni, libri editi dallo Zibaldone di Anita Pittoni tanti, libri di Umberto Saba e Virgilio Giotti avvolti da eleganti protezioni disegnate dallo stesso Giotti, ma anche disegnatori d’eccezione come Antonio Rubino e Sergio Tofano, il cui I cavoli a merenda del 1920 non teme confronti in fatto di graphic novel oggi talmente diffuse. Mi perdonerete se ve la faccio lunga su un libro non credo particolarmente noto, il Cocktails Portfolio con i testi di Amedeo Gandiglio e le tavole di Ettore Sottsass jr, il quale di certo ne aveva curato la grafica. In buona sostanza si tratta di un fascicolo autopromozionale che s’era dato il proprietario di un neonato e scicchissimo caffè torinese sorto nel 1947. Ebbene era la primissima volta che il nome di un Sottsass neolaureato in Architettura compariva su un libro a stampa, a dare identità grafica nientemeno che a un libro di ricette di cocktail.
E senza dire dei testi di Gandiglio tutti volti a raffrontare quel che succedeva in un bar di Torino con quel che succedeva in un bar americano, circostanze queste ultime raccontate da lui per filo e per segno come da uno che nei bar americani ci avesse passato la vita. Ebbene l’autore di quei testi era un giornalista della Stampa che negli Stati Uniti non c’era stato mai un solo minuto della sua vita. Solo che era talmente ipnotizzato da tutto quanto ne sapeva attraverso libri e film che finiva per conoscere l’America molto meglio di un americano. Un libro sensazionale. In più è la copia appartenuta al celebre gallerista veneziano Carlo Cardazzo, quello che aveva come cliente Peggy Guggenheim, quello la cui storia d’amore con la scrittrice Milena Milani fece gran sensazione negli anni Sessanta.