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La East 128 di Sottsass, il genio di Gio Ponti: icone della creatività italiana
Due libri diversi per mole e intenti fanno scoprire inaspettati collegamenti nell'universo del design e dell'architettura italiana. Artisti che si fanno editori, ispirazioni ricevute nel quotidiano, amicizie generose
Il postino ha bussato due volte, in questi ultimi giorni, a portarmi due libri egualmente preziosi nel raccontare la creatività italiana novecentesca seppure talmente difformi nella loro mole e nella loro origine editoriale: il delizioso Autori in cerca di autori di Ambrogio Borsani (Milano, Editrice bibliografica) e il massiccio Gio Ponti appena partorito dalla casa editrice Taschen. Il primo con le sue 140 pagine peserà sì e no 250 grammi. Il secondo è quale un blocco di cemento da 5 o 6 chili che ci vuole un culturista per maneggiarlo. Il primo è un libro destinato agli italiani che amano i racconti sul come sono nati alcuni dei libri più saporiti della nostra storia recente. Il secondo è un libro internazionale, scritto in gran parte in inglese, destinato a onorare Giovanni Ponti detto “Gio”, uno che tra architettura e design è stato uno dei giganti dell’intero Novecento. E anche se i personaggi sono talvolta comuni ai due libri. Il designer e architetto e fotografo e scrittore Ettore Sottsass (morto novantenne a Milano nel 2007) figura nell’uno e nell’altro libro, Gio Ponti (morto a 88 anni a Milano nel 1979) lo stesso.
Partiamo dall’inarrivabile maestro che è stato “Ettorino” (come lo chiamava la sua prima moglie Fernanda Pivano), che fa da maggiore protagonista dell’accurata perlustrazione di Borsani di tutti i casi in cui artisti, architetti e scrittori si sono fatti editori. Nel caso di “Ettorino” il farsi editore era stato particolarmente drammatico. Era successo che nel 1962 a un Sottsass quarantacinquenne (in quel momento uno degli uomini che conferivano alla Olivetti di Ivrea il rango che è oggi della Apple) venisse diagnosticata una grave forma di nefrite che gli dava pochi mesi di vita. L’unica speranza era saggiare una clinica a Palo Alto in California dove stavano sperimentando una inedita cura a base di cortisone. Il figlio maggiore di Adriano Olivetti (morto nel 1960), il trentaquattrenne Roberto Olivetti, si offrì immediatamente di pagare le ingenti spese del caso, il viaggio negli Stati Uniti e la degenza che sarebbe stata lunga. “Ettorino” e Fernanda partirono con destinazione la stanza d’ospedale East 128 dello Stanford Medical Center di Palo Alto. La terapia si protrasse per mesi, durante i quali la East 128 divenne la redazione di una minuscola casa editrice che portava il nome della stanza d’ospedale. Dov’era un continuo via vai degli scrittori della beat generation californiana che la Pivano aveva quasi tutti coccolati e talvolta tradotti. A un certo punto venne annunciato l’arrivo nientedimeno che di Marilyn Monroe, e Sottsass ne era elettrizzato. Solo che pochi giorni dopo Fernanda entrò nella stanza a comunicargli che Marilyn si era suicidata.
Una casa editrice tanto minuscola quanto scintillante, che debuttò in una stanza d’ospedale e continuò poi a Milano in via Cappuccio 19 dove i due coniugi erano tornati una volta che “Ettorino” era stato dichiarato sano e salvo. Già dieci anni fa due geniali librai, il torinese Giorgio Maffei e il bresciano Bruno Tonini, in un loro libro a quattro mani, quelle edizioni le connotavano una a una per la gioia di quanti di noi ne erano innamoratissimi da sempre. In tutto e per tutto erano 19 libri pubblicati ciascuno in 300-400 copie, di cui però quattro mai editi davvero, e rispettivamente tre successivi numeri della rivista Room East 128 Chronicle, pubblicati in poche decine di copie ciascuno, e due numeri della rivista Pianeta fresco. La prima rivista pubblicata in California e la seconda a Milano con un titolo suggerito dal poeta Allen Ginsberg. Per darvi un’idea dell’eccezionalità del tutto, l’intera sequenza dei libri e dei cinque numeri delle due riviste (più gli originali dei disegni e delle grafiche versate in esse) era offerta nel 2016 a 85 mila euro in un catalogo della John Benjamins Antiquariat di Amsterdam, la più importante libreria al mondo in fatto di collezioni complete di riviste.
Nel suo libro Borsani racconta che Sottsass gli aveva detto che i fogli relativi a tre libri mai pubblicati stavano in una cassettiera nella casa della Pivano (da cui lui si era separato) in via Senato, una casa che ricordo come ci fossi stato ieri. Borsani ci andò in quella casa e raggiunse una cassettiera che stava in un corridoio semibuio, una cassettiera di cui la Pivano gli diede le chiavi non senza appoggiarsi sulla sua spalla nel pianto provocato dal ricordo della separazione con “Ettorino”, il dolore durato tutta la sua vita. I tre libri che avrebbe dovuto pubblicare la East 128 non c’erano.
Quanto a Ponti, lo racconta Stefano Casciani nella sua ricchissima prefazione al volume della Taschen, lui era stato un amico generoso di Sottsass come di tanti altri protagonisti della storia del design e dell’architettura italiana, da Carlo Mollino all’Ico Parisi metà siciliano e metà comasco. Ico, che era un mio grande amico, mi ha mostrato le lettere che negli anni si era scambiato con Ponti, il quale pur indaffaratissimo com’era, alla fine di ciascuna metteva un qualche fregio grafico come a rafforzare la forza dell’amicizia e della relativa comunicazione. Ico mi raccontò com’era nata in Ponti l’idea della “Superleggera”, la sedia la più iconica del design italiano del secondo Dopoguerra. Era andato a mangiare in una trattoria milanese, e si accorse che ci stava a meraviglia seduto sulla sedia del ristorante. Andò nel bagno e se ne appuntò tutti i particolari. In quella strepitosa Italia dove impiegarono appena quattro anni a far sorgere il Pirellone di Ponti dirimpetto alla stazione di Milano, la sedia la mise in produzione Cassina. Ponti la voleva la più sottile e guizzante possibile. Una prima prova era andata male, Ponti ci si era seduto ed era finito gambe all’aria. Dopo di che la corressero e ne fecero un capolavoro.