uffa!
Ma dove l'avrò messo? L'arte del disordine nelle nostre librerie
Sempre più spesso si celebra l'amore del possedere libri (attraverso altri libri). In quantità spropositate, da perdersi nei meandri tra gli scaffali. L'ultima testimonianza di questa religione è un volume di Massimo Gatta
E’ una gran bella notizia che si stiano moltiplicando le case editrici piccole o piccolissime la cui insegna è celebrare l’attrazione fisica e meglio ancora erotica del possedere libri, del vivere in mezzo alle copertine di carta, del costruirsi una biblioteca per poi ordinarla, dell’andare a scovare una leccornia edita in poche copie, dell’inciampare nei libri per quanti ne tieni nella stanza in cui lavori. Sì, ho detto attrazione erotica perché i libri sono più sexy delle influencer che si offrono via video a chi altro non deve fare che cliccare sulla tastiera del proprio computer. Che bello che mi arrivino uno dopo l’altro il “Libri” di Luigi Mascheroni, che fa da secondo titolo della Piccola Biblioteca Oligo di Mantova, tre libri della Luni editrice – uno squisito librino di Claudio Pavese sulla storia delle edizioni Einaudi, un Piero Gobetti d’antan, un’uscita del Bernard Grasset che rivoluzionò l’editoria francese del Novecento –, gli annunci periodici delle fascinosissime edizioni numerate della Henry Beyle di Milano, e da ultimo “L’insolenza e l’audacia. Sul disordine dei nostri libri” edito dalla Graphe.it edizioni di Perugia e firmato da Massimo Gatta, il bibliotecario maceratese che della religione del libro è uno dei massimi cardinali italiani. Tutto questo vuol dire che c’è ormai un mercato piccolo ma orgoglioso fatto dagli adepti di quella religione? Credo di sì. Forse non succederebbe più quel che accadde a me una decina d’anni fa. Che venisse a casa mia Stefano Salis (un giornalista espertissimo dell’argomento) per conto del supplemento domenicale del Sole 24 Ore a chiedermi quale ruolo avessero avuto i libri nella mia vita, e che l’allora direttore di quel supplemento (un semianalfabeta come ce ne sono tanti nei giornali) gli bloccasse il suo pezzo, reputandolo privo di qualsiasi interesse.
Stimolato da un recente libro di Roberto Calasso, il fondatore dell’Adelphi la cui biblioteca privata annovera 50 mila volumi, a far da perno al suo libro Gatta s’è scelto il criterio con cui mettere ordine nei propri libri, ovvero la dannazione cui sono sottoposti tutti i titolari di biblioteche private importanti, una dannazione cui non c’è una via d’uscita sicura e definitiva come riconosceva lo stesso Calasso. Gatta fa di più, tesse un elogio il più sfrontato del “disordine” della propria biblioteca, un elogio cui non credo sia estraneo il lutto della rottura del suo rapporto matrimoniale, l’abbandono della casa in cui viveva con la moglie e dunque la perdita di tantissimi suoi libri, un evento squassante per un bibliofolle come lui. Tanto che il suo libro è accompagnato da due foto (scattate dalla figlia Ludovica) che ritraggono i libri rimasti in casa della moglie, libri ammassati in un parapiglia plateale e impudente. Non riesco a mettermici nei suoi panni. Potrei fare a meno del letto in cui dormo, non di uno solo dei libri da cui sono circondato nella stanza in cui sto scrivendo, una delle sette stanze di casa mia riservate alla mia biblioteca personale. Non di uno solo di quei libri, fra cui ovviamente molti sono quelli non letti, e che vuol dire? Sono libri amatissimi già per il fatto di essere entrati a casa mia, per averli io comprati magari quando stentavo a trovare di che mangiare due volte al giorno. Una volta che a Parigi stavo aspettando il mio amore dei vent’anni che sarebbe arrivata alla Gare de Lyon la sera, uscii di casa per ammazzare il tempo e dunque mi misi a girare per le librerie del Quartiere latino. Mi ero portato i soldi di che pagare il taxi con cui portare la ragazza dalla stazione all’albergo che avevo prenotato. Riuscii a spendere quei soldi nell’acquisto di tre libri, due dei quali non li ho mai letti. Ancor oggi – cinquant’anni dopo – ce l’ho innanzi agli occhi il rimprovero impresso sul volto della fanciulla quando le chiesi di pagarlo lei il taxi.
Quelli di Gatta a scovare biblioteche private e indagarne le valenze, non sono viaggi, bensì piroette. A partire dai 380 mila volumi della biblioteca dello storico dell’arte amburghese Aby Warburg (nato nel 1866, morto nel 1929) e dai 120 mila della biblioteca di Benedetto Croce, quelle che Gatta considera due ulteriori opere dei loro rispettivi proprietari, e così via piroettando lungo gli scaffali delle biblioteche di Giacomo Leopardi, Ian Fleming (l’inventore di James Bond), Leo Longanesi, Giorgio Manganelli, Guillaume Apollinaire, Leonardo Sciascia (il suo “scaffale stendhaliano”) o magari di un odierno collezionista italiano quale Carlo Isnenghi, sul cui catalogo messo in vendita da una libreria torinese mi avventai in tempo, sì da acquistare, un istante prima che la chiedessero quelli della Libreria Pontremoli di Milano, la prima edizione del “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro che cercavo da trent’anni.
Anche se non sono completamente d’accordo con Gatta quando dice che il disordine è consustanziale a una biblioteca, perché i libri sono esseri viventi, si muovono, crescono, e di certo non li puoi mettere in ordine a seconda delle collane. Warburg li mutava di posto continuamente. Giuseppe Pontiggia ha fatto anche lui l’elogio del “disordine” delle sua biblioteca (se non sbaglio vicina ai 60 mila titoli), a ospitare la quale aveva comprato persino la portineria del palazzo dove viveva. Personalmente se non cercassi di opporre un freno al disordine della mia biblioteca, dopo decenni e decenni in cui il tutto era sotto controllo, lo strumento essenziale del mio lavoro esploderebbe fra le mani. Già adesso perdo delle ore a trovare libri di cui ho bisogno. Tanto per fare un esempio, ai libri sui libri di cui sto narrando è dedicata una mia libreria Thonet a tre ripiani. Solo che è zeppa all’inverosimile. I prossimi che comprerò dove li metto? Una cosa non avverrà mai nella mia biblioteca: i libri messi in doppia fila. Quello mai. Mai.