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Gli intellettuali di Bucarest e la loro terribile fascinazione per l'antisemitismo
Cioran, Eliade, Ionescu, intelligenze indubitabili al contrario dei loro valori morali. In una Romania di cui parliamo poco, dove negli anni Trenta e primi Quaranta era all’opera un fascismo originario e feroce, le Guardie di ferro capitanate da Corneliu Zelea Codreanu
"Journal 1935-1944. The Fascist Years" dello scrittore rumeno ebreo Mihail Sebastian (nato nel 1907, ucciso da un autobus il 29 maggio 1945 mentre stava attraversando la strada) è uno dei libri più drammatici dell’intero Novecento. Ne cito il titolo dell’edizione inglese del 2012 perché non ne esiste un’edizione italiana. Era rimasto inedito per molti anni dopo la morte di Sebastian. Quando suo fratello emigrò in Israele nel 1961, ne nascose il manoscritto nella valigia diplomatica a evitare gli occhiuti controlli della Securitate, la polizia segreta rumena dell’epoca Ceausescu.
“Ho assistito a qualcosa di terribile nelle strade. Animali selvaggi”, scrive Sebastian nel suo diario. Dal 1935 al dicembre 1944 lui vi annota giorno per giorno quel che accade contro gli ebrei in Romania. Venti studenti che danno addosso a un ebreo, un altro ebreo scaraventato nella tromba delle scale, i negozianti ebrei di una delle strade centrali di Bucarest che tirano giù le loro saracinesche e aspettano gli assalitori attrezzati al possibile, ciò che fa scrivere a Sebastian: “Penso che sia la sola cosa da fare. Se dobbiamo crepare è meglio farlo con un bastone in mano. È non meno tragico, ma almeno non talmente ridicolo”. Gli capitava di trovarsi con altri amici a casa di uno che non conosceva, e che improvvisamente la conversazione prendesse una piega violentemente antisemita, al che lui non sapeva che cosa dire, come reagire. Tutto questo in una Romania di cui siamo usi parlare poco, e benché negli anni Trenta e primi Quaranta vi sia stato all’opera un fascismo originario e feroce, le Guardie di ferro capitanate da Corneliu Zelea Codreanu, dai quali promana una micidiale furia antisemita che farà qualcosa come 200 mila vittime in un paese in cui su 18 milioni di abitanti gli ebrei erano 750 mila.
E dire che Bucarest è una città talmente vitale che a inizio secolo qualcuno l’aveva definita “una piccola Parigi”. Dove succede che siano numerosi gli intellettuali che nel voler valorizzare una presunta identità rumena si aggrappano alla maniglia di un antisemitismo che denuncia gli ebrei come stranieri, come “altri”. Quello che funge da primo ispiratore intellettuale delle Guardie di ferro è Nae Ionescu, un professore universitario la cui fascinazione su Sebastian resterà forte fino all’ultimo (“Potrò dubitare dei suoi valori morali, mai essere deluso dalla sua intelligenza”). Quando seppe della sua morte, nel 1940, scoppiò in singhiozzi irrefrenabili. Egualmente suoi amici due intellettuali rumeni che a lungo andare figureranno tra i giganti della cultura europea del loro tempo, Mircea Eliade e Emil Cioran, i quali a loro volta stanno manifestando la loro adesione al programma politico delle Guardie di ferro se non addirittura all’hitlerismo. Un’adesione tutt’altro che passeggera e tutt’altro che superficiale, come ha dimostrato la studiosa rumena Alexandra Laignel-Lavastine in un suo massiccio volume pubblicato a Parigi nel 2002, “Cioran, Eliade, Ionesco: l’oubli du fascisme”. Fermo restando nel mio giudizio, e a differenza di quello della studiosa rumena, laddove ancora nel 1944 Mircea Eliade impreca contro gli “anglo-bolscevichi” che stavano per impadronirsi dell’Europa, il Cioran che dal 1941 vive stabilmente a Parigi (dove diventerà uno dei maggiori stilisti in lingua francese del secolo) andrà via via nettandosi di quel che era stato negli anni Trenta. Al punto di convincersi che il “credere”, il credere fermamente come lui aveva creduto in Codreanu, è all’origine di ogni disavventura del pensiero umano. Quel Codreanu di cui qualcuno scriverà che era di una “bestialità catastrofica” ma che esercitava una suggestione fisica impressionante, alto e massiccio com’era.
Quanto a Eliade, il suo anticomunismo era patologico. Gli fa scrivere nel 1943 che non si reca a Parigi perché teme di trovarvi una Francia “sfigurata” dal comunismo. Stiamo parlando del 1943, di quando la Francia era spianata sotto il tallone nazi. Nel diario di Sebastian, di un ebreo la cui condizione pericola ogni giorno di più e che tuttavia vuole conservare la sua amicizia con l’Eliade antisemita, il difficile rapporto tra loro due è raccontato in modo toccante. Che Eliade sia un uomo di destra, che ai tempi dell’Abissinia fosse dalla parte del Mussolini invasore, che ai tempi della guerra civile spagnola fosse dalla parte di Franco, che in Romania sia un esaltatore di Codreanu, a Sebastian tutto questo appare lampante. Solo non gli fa dimenticare quanto in Eliade è “eccezionale”, la sua “generosità”, la sua “forza vitale”.
Nella Romania di quegli anni la violenza dettata dall’ideologia politica toccò livelli inauditi. Le Guardie di ferro avevano delle squadre specialmente destinate a dare la morte. Con il nome “Nicadori” sono in tre il 29 dicembre 1933 ad assassinare a colpi di arma da fuoco il primo ministro liberale Ion Gheorghe Duca che intendeva sciogliere la loro organizzazione. Dopo di che i tre assassini si costituiscono perché questa era la regola che si erano dati. Un rivale politico di Codreanu, Mihai Stelescu, le Guardie di ferro vanno a ucciderlo mentre sta in ospedale e ne fanno a pezzi il cadavere. Alle elezioni del novembre 1937 il loro movimento ottiene 66 seggi. Era tale il rilievo sentimentale oltre che ideale delle Guardie di ferro nella società rumena che il funerale di due di loro andati a morire in Spagna dalla parte di Franco viene vissuto quale un giorno di lutto dall’intera città di Bucarest. E siccome il loro potere di ricatto stava diventando troppo forte, il 30 novembre 1938 re Carol II lascia che 14 Legionari in carcere siano uccisi (mediante strangolamento), Codreanu, i tre “Nicadori”, i dieci assassini di Stelescu. Qualche anno dopo, quando la minaccia delle armate nazi si fa soverchiante, i Legionari tornano politicamente in auge. Il 29 giugno 1941 – mentre i tedeschi si stavano avventando sull’Urss – sono in prima linea durante un massacro di qualcosa come 15 mila ebrei rumeni a Iasi, la città moldava dov’era nato Codreanu.