uffa!
Che vuol dire “avversario”? Ricordi di una destra e una sinistra deliranti
Qualche osservazione a partire da "Più forte del fuoco" di Francesco Rovella, che negli anni Sessanta faceva parte di Ordine Nuovo e per la militanza nella destra radicale è stato in carcere. Restando convinti che i tribunali non siano adatti a valutare le farneticazioni ideologiche, di destra e di sinistra
In cinque muniti di spranghe che andavano contro uno studente di idee politiche opposte che stava uscendo di scuola a colpirlo senza mercede, a decine “compagni” e “camerati” che si avventavano gli uni contro gli altri ed era un miracolo che ogni volta non ci scappasse il morto, mischie furibonde in cui i coltelli saettavano come se piovesse, ragazzi di diciannove/vent’anni che si muovevano per le strade di Catania orgogliosi dell’indossare una divisa e come se stessero andando a una guerra. In questo caso “una guerra civile”, la più atroce di tutte. E anche se quella che ha scandito gli anni Sessanta e Settanta era una guerra civile psicotica, i cui riferimenti erano puramente illusori e deliranti, dato che “il fascismo” e “l’antifascismo” per come sono stati davvero storicamente non avevano alcuna corrispondenza con la società reale italiana per come stava crescendo ed evolvendo.
Quando il mio vecchio amico e compare della Catania in cui sono nato, il professor Tino Vittorio, mi ha segnalato il libro scritto da un catanese che aveva militato in un gruppo di estrema destra e dov’era la memoria leale di quell’orrore, subito gli ho detto di farmelo avere. Appena mi è arrivato il Più forte del fuoco di Francesco Rovella (edito dal Settimo Sigillo, una casa editrice romana di destra), l’ho preso in mano e non l’ho più lasciato. Nome di battaglia “Checco” al tempo della sua militanza in Ordine Nuovo, Rovella è più giovane di me di una dozzina d’anni. Da oltre vent’anni è un gallerista d’arte e un organizzatore di mostre, mestieri in cui si ritrova perfettamente. Da come me ne aveva riferito Tino, avevo creduto che lui avesse fatto parte dell’Ordine Nuovo della prima metà dei Sessanta, un gruppo con cui noi dell’estrema sinistra catanese ci eravamo fronteggiati non sempre cavallerescamente. E invece Rovella è entrato in campo diciassettenne o poco più nei primissimi Settanta, quando io ero già fuggito via da Catania, e scrive di non sapere nulla dell’Ordine Nuovo guidato nei Sessanta dal futuro professore Antonio Lombardo. Non che Rovella abbia avuto un itinerario dei più tranquilli, e a parte la volta che lui rischiò molto concretamente di fare la fine di Sergio Ramelli, lo studente milanese diciannovenne aggredito il 13 marzo 1975 (e morto dopo un mese e mezzo di coma) da un gruppo di militanti di estrema sinistra che ai miei occhi altro non erano che una masnada di delinquenti di strada.
(Tanto per chiarire. Nei dieci anni della mia giovinezza – i Sessanta – in cui ho nuotato nelle acque di una sinistra piuttosto accentuata, mai ho sfiorato con un dito un mio “avversario”, termine che uso a fatica da quanto è banale. Né mai sono stato sfiorato con un dito da qualcuno. Ricordo una volta che in un’aula universitaria strepitavamo a gran voce l’uno contro l’altro io e Benito Paolone, il capo degli universitari fascisti catanesi. Benito, che era una gran brava persona, l’ho incontrato trent’anni dopo a una manifestazione catanese in onore di Vitaliano Brancati. Ci siamo abbracciati. Avevamo in comune la nostra giovinezza, dove ognuno dei due aveva recitato la sua parte in commedia. Se lui era stato un mio “avversario”? A guardare le cose banalmente senz’altro, a guardarle in profondità era stato un italiano con una biografia moralmente e umanamente diversa dalla mia, a cominciare dal fatto che il padre istriano era stato infoibato dai partigiani titini).
Per tornare a Rovella e al suo libro, il peggio della sua biografia comincia quando l’Ordine Nuovo di cui lui aveva fatto parte viene messo fuori legge perché reputato un’organizzazione il cui intento fondamentale era quello di distruggere le fondamenta dello stato democratico italiano. Una valutazione e una decisione de iure che lasciò e lascia perplessi quanti di noi sono abituati a pensare che le aule dei tribunali non siano i luoghi più idonei a valutare le farneticazioni ideologiche degli estremisti tanto di destra quanto di sinistra. Ho conosciuto bene Paolo Signorelli, uno dei fondatori di Ordine Nuovo, il quale ammetteva di avere giocato con il fuoco ma che non era uno scellerato criminale, e fui felice di sedere accanto a Francesco Rutelli la volta che i radicali organizzarono la sua difesa dalle accuse di esserlo. Così come ho letto il recente libro di Sandro Forte (Ordine Nuovo parla, Mursia, 2020) in cui rivendica come l’identità di Ordine Nuovo sia stata quella di un laboratorio politico e culturale che cercava di offrire piste a una destra moderna. Provenivano da un’adesione iniziale a Ordine Nuovo i personaggi più rilevanti della cosiddetta “Nuova Destra”, da Marco Tarchi a Stenio Solinas a Umberto Croppi.
Le “traversie giudiziarie” di Rovella cominciarono nei primi Settanta sotto forma di comunicazioni giudiziarie per avere tentato di ricostituire il Partito nazionale fascista, accuse che vogliono dire tutto e niente. Nell’ottobre 1976 viene arrestato a Catania e condotto in aereo a Regina Coeli per poi essere trasferito alle Murate di Firenze. Lo depositarono in una cella che Rovella descrive così: “La cella è un po’ più lunga del letto e se allargo le braccia quasi tocco le pareti. Il letto consiste in una rete scassata con su un foglio di gomma piuma per materasso, niente cuscino. C’è un armadietto al muro pieno di cibo avariato e muffa, non so come pulirlo, non ho niente. Non c’è neanche un rubinetto. La finestra in alto ha i vetri spaccati, le pareti sono di ghiaccio e c’è un freddo boia”. Le pagine dedicate alla sua detenzione carceraria sono tra le più agghiaccianti del libro di Rovella. I carcerieri erano come ostaggi della furia belluina dei detenuti di sinistra e di quelli di destra. Se entravi in carcere pur non essendo un delinquente politico, immancabilmente lo diventavi. Per fortuna sua e nostra Rovella, successivamente più o meno assolto da tutte le accuse giudiziarie, non lo è diventato.