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Norma Cossetto, Porzûs, Vergarolla. Volti e storie di stragi dimenticate
Raimo e Montanari permettendo, torniamo sulla tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia. Che solo un imbecille può affermare che abbia qualcosa a che vedere con la Shoah, solo che è stata una tragedia immane. Di cui le foibe fanno da apice
Basta un niente alla mia età, la pronunzia di un nome o di un luogo, e subito il motore della memoria si mette a girare vorticosamente. Mi è successo, qualche giorno fa, nel leggere sul Corriere della Sera la magnifica intervista di Aldo Cazzullo alla mia vecchia amica Laura Laurenzi, reputata la più bella giornalista dei tempi d’oro della Repubblica. Il motore della memoria ha dunque riacceso le immagini della casa romana che guardava sulle rovine di Largo Argentina, dov’ero stato spesso ospite di Laura e di suo marito Enzo Bettiza, e dov’erano ancora piccini i loro due figli. Non ricordo esattamente quando incontrai per la prima volta Bettiza, il cui nome era maledetto dalla gran parte della mia generazione, e questo per il suo dannato (e sacrosanto) anticomunismo dagli anni Cinquanta-Sessanta fino alla (benemerita) fondazione del Giornale diretto da Indro Montanelli di cui Bettiza sarebbe stato il vicedirettore. Enzo non era un tipo da poco. Pesavano le sue parole sulle tante cose del Novecento di cui era stato testimone, pesavano i suoi sguardi, pesavano i suoi libri, eccome se pesavano. Nella mia biblioteca sono distribuiti in tre diversi scomparti, quello dedicato alla narrativa italiana, quello dedicato alla saggistica italiana, quello riservato alle prime edizioni italiane del secondo Dopoguerra, dove custodisco amorosamente La campagna elettorale del 1953, la copia che proveniva dalla biblioteca del critico letterario Sergio Pautasso. Quanto al fatto che la suddivisione dei libri in romanzi e saggi è infinite volte una corbelleria, lo dimostra il fatto che io abbia conservato nel comparto saggistico della mia biblioteca Esilio, il superbo libro di Bettiza del 1996 che è il più alto monumento letterario eretto in memoria degli italiani che nel Dopoguerra vennero espulsi dalle terre di Spalato e dintorni che loro avevano modellato.
Se, beninteso col permesso di gentiluomini quali Christian Raimo e Tomaso Montanari, vogliamo ricordare ben bene quel che è successo a centinaia e centinaia di migliaia di italiani negli anni dell’immediato Dopoguerra, ossia di perdere tutto in un istante e senza averne alcuna colpa, allora quel libro di Bettiza è un cippo, un libro sacro. Una tragedia che ha niente a che vedere con la Shoah, e solo un imbecille potrebbe tentare di affermare il contrario, solo che è stata tragedia immane. Di cui le foibe, le immagini di italiani legati gli uni agli altri – alcuni vivi e alcuni morti – che venivano scaraventati nelle buche naturali delle terre istriane, fanno da apice. Uomini e donne straziati benché del tutto innocenti, ad esempio la studentessa ventitreenne Norma Cossetto, che aveva il torto di essere la figlia di un podestà fascista, e che venne ripetutamente violata prima che il suo corpo (la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943) venisse gettato in una foiba dalle parti di Villa Surani. Resta incerto se tra i partigiani titini autori di questa mostruosità ci fossero anche alcuni partigiani italiani di fede comunista. Del resto erano partigiani italiani, ed era italiano il loro comandante Mario Toffanin detto “Giacca”, quelli che alle malghe di Porzûs massacrarono alcuni partigiani italiani liberali fra i quali il fratello di Pier Paolo Pasolini e lo zio di Francesco De Gregori, il quale mi ha raccontato che quando suo padre venne chiamato a identificare il cadavere del fratello stentò a riconoscerlo. Per essere dei “compagni” erano dei delinquenti di diritto comune. Con la particolarità che Herbert Kappler, l’ufficiale nazi che aveva comandato la rappresaglia delle Fosse Ardeatine, era stato condannato e passò lunghi anni in prigione prima di fuggire, laddove il partigiano “Giacca” si rifugiò indenne prima in Jugoslavia e poi in Cecoslovacchia a trascorrervi la sua vita fino alla morte, nel 1999. Non solo, vent’anni prima era stato graziato da Sandro Pertini. Di più ancora, quando il presidente Francesco Cossiga pensò nel 1992 di fare una visita ufficiale a onorare i partigiani liberali trucidati a Porzûs, furono tali e tante le reazioni negative “a sinistra” che quella visita Cossiga la trasformò in una visita privata.
Quanto agli italiani che misero in una valigia il poco che potevano metterci e montarono sui treni e sulle navi che li portavano in un’Italia dove non avevano nulla, quando uno di quei treni si fermò non ricordo bene se a Bologna o altrove il sindacato dei ferrovieri comunisti impedì loro di scendere dal treno a prendersi un po’ di acqua da bere. Mi pare che questo episodio lo avessi letto nel memorabile libro del 1999 di Arrigo Petacco, L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, un libro che esplose come una bomba a infrangere il silenzio su quella tragedia che durava da mezzo secolo. Mai sino a quel momento avevo sentito pronunciare il nome della Cossetto.
Sì, ricordare ricordare ricordare, beninteso dopo averne avuto il permesso da Raimo e Montanari. Ricordare ad esempio quello che avvenne, il 18 agosto 1946, sulla spiaggia di Pola che ha nome Vergarolla. Quando un’esplosione spaventosa mandò in pezzi i corpi di centinaia di italiani, bambini una buona parte. Su quella spiaggia giacevano da tempo 28 residuati bellici che nel frattempo erano stati disinnescati dagli artificieri. Solo che quel giorno di agosto la mano di qualcuno aveva restituito a quegli ordigni il loro mestiere, dare la morte. Erano i giorni in cui a Parigi discutevano se assegnare Pola all’Italia o alla Jugoslavia. L’indagine degli Alleati appurò che l’esplosione era stata dolosa. Quel 63 per cento della popolazione di Pola che era italiana e voleva l’Italia, capì che per loro non c’era scampo. Riempirono le loro valigie. Pola divenne una città croata. Sulla strage cadde un silenzio tombale che dura a tutt’oggi. Quanti di voi, prima di leggere questo articolo, avevano mai sentito il nome Vergarolla?