uffa!

Il gran matematico napoletano a cui mancò la formula per vincere il dolore

Giampiero Mughini

Renato Caccioppoli trasudava eleganza dalle parole che usava, dal modo in cui insegnava la matematica a studenti che ne erano ipnotizzati, e a non dire delle volte che si sedeva al pianoforte. Finché l’alcol non bastò più a parare lo strazio del vivere. "L'attrito della vita", l'ultimo libro di Lorenza Foschini

Nato a Napoli il 20 gennaio 1904, nipote nientemeno di un Michail Bakunin che aveva vissuto a lungo in Italia, Renato Caccioppoli era un prodigioso talento matematico, tanto da essere andato in cattedra nel 1931 ad appena 27 anni. Aveva un volto stropicciato come di uno su cui la vita gravava pesantemente, il volto come di un attore francese del tempo tra i Trenta e i Quaranta. Jean Gabin? No, meno risoluto, molto meno. A trovartelo di fronte, aveva a prima vista l’aria trasandata di chi s’è abbigliato in fretta incurante se sì o no quello che indossava fosse stato stirato a modo. E invece Caccioppoli trasudava eleganza dalle parole che usava, dal modo in cui insegnava la matematica a studenti che ne erano ipnotizzati, persino dalla ferocia con cui talvolta li bocciava, e a non dire delle volte che si sedeva al pianoforte e cominciava a far rullare le dita. La donna più importante della sua vita era stata Sara Mancuso, una effervescente siciliana che aveva sedici anni meno di lui e che aveva sposato nel 1939, e che a un certo punto gli preferì Mario Alicata, un fiammeggiante intellettuale comunista (era nato nel 1918) che stava debuttando nella Napoli dell’immediato dopoguerra. E siccome anche Caccioppoli volgeva piuttosto nettamente verso l’ideologia comunista, dové essere un grande scandalo a quel tempo il caso di due “compagni” che si contendevano la stessa donna. Era il tempo difatti in cui si reputava che le scelte personali discendessero paro paro da quelle ideologiche, una inaudita bestialità.

  

Né mi sembra che l’ideologia avesse poi questo così gran peso nel suo sistema di pensiero e di vita, nulla che reggesse il confronto con le implacabili costruzioni matematiche di cui Caccioppoli era un fuoriclasse. Tanto è vero che i suoi amici più stetti riferiscono in due modi opposti la sua reazione innanzi all’ingresso dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956. C’è chi riferisce che ne fu indignato, altri dicono che ne fu galvanizzato; e non è che sia una differenza da poco. Di certo aveva un gran peso nella sua vita il consumo di alcol. Aveva escogitato il trucco di chiedere alla mescita del bar due mezzi cognac anziché uno, dato che due mezzi cognac fanno più quantità di uno. Finché l’alcol non bastò più a parare lo strazio del vivere e Caccioppoli fece quello che aveva teorizzato con gli amici: spararsi un colpo di pistola alla nuca, e questo per essere sicuro di non fallire il tentativo di suicidio. Fu la sua collaboratrice domestica a trovarlo riverso sul suo divano il pomeriggio dell’8 maggio 1959, una chiazza di sangue sul cuscino di lino bianco. Il proiettile che lo aveva ucciso gli era uscito dalla fronte.

  

E’ bellissimo il titolo del libro che Lorenza Foschini ha appena dedicato al “matematico napoletano”, L’attrito della vita, La nave di Teseo, 2022. Anche lei orgogliosamente napoletana, per giunta parente alla lontana di Caccioppoli, Lorenza Foschini sta vivendo una seconda vita da quando ha smesso il lavoro di conduttrice del telegiornale che l’aveva resa famosa. Tutte le volte che sfiora la cultura francese, in lei si accende qualcosa a cominciare da quel gioiellino che era Il cappotto di Proust pubblicato nel 2008. Avendo a portata di sguardo e di emozioni il destino di Caccioppoli – destino che s’era già meritato il film di Mario Martone del 1992, dove Carlo Cecchi interpretava il ruolo di Caccioppoli – vorrei ben vedere che la Foschini non scegliesse di scriverne con pudore ed eleganza. E’ andata in giro a lungo per archivi e testimonianze di persone che conobbero Caccioppoli in quella Napoli che resta comunque una delle capitali culturali del nostro paese. Lancinante la lettera che la Foschini ha trovato in un archivio, lettera in cui la scrittrice Paola Masino racconta alla madre una visita che aveva fatto a Caccioppoli nell’ottobre 1958, pochi mesi prima del suicidio: “Ho rivisto il Caccioppoli che è ormai davvero uno scheletro. Mi fa una gran pena e non mi meraviglierei che si uccidesse […]. E’ un uomo eccezionale che non riesce a resistere all’attrito della vita, e che non fa più nulla per vivere”.

  

Eccome se era una capitale culturale quella Napoli degli anni Cinquanta dove s’è compiuto l’ultimo segmento della vita di Caccioppoli. Una città da cui purtroppo si stanno congedando tanti dei suoi nativi d’eccellenza, Anna Maria Ortese come Ruggero Guarini, Raffaele La Capria come Peppino De Filippo, Antonio Ghirelli come Tommaso Giglio, Pasquale Prunas come Giuseppe Patroni Griffi. Wanda Monaco, un’abile cronista diciottenne, appresta agli inizi del 1958 un libro di napoletani che a Napoli ci sono rimasti e che ne parlano. Uno di loro è il nostro eroe. “Caccioppoli appartiene alla leggenda”, lo presenta la Monaco. E gli chiede quale altra attività vorrebbe scegliere a parte la sua. E lui risponde che se non fosse per la concorrenza che è tanta, vorrebbe fare il disoccupato. E ancora, “com’è orientato in confronto alle donne?”, chiede la Monaco. Al che Caccioppoli ribatte: “Per orientarmi mi occorrerebbe una bussola, smarrita da tempo, se mai posseduta”.

  

Uno dei sodali più stretti di Caccioppoli in quegli anni è il futuro sindaco comunista di Napoli, Maurizio Valenzi. Ci sono sere in cui Caccioppoli bussa alla sua porta molto tardi, al che Valenzi gli fa presente che è notte, che i suoi bambini stanno dormendo. Preferisce andar lui in casa di Caccioppoli. Ci va una volta e resta di stucco. “L’appartamento è desolatamente vuoto. Solo nell’angolo, troneggia luttuoso il nero pianoforte Petrof, accanto alla finestra lo scrittoio su cui sono posate due fotografie e, affastellati in disordine, diversi fogli con decine di formule, assolutamente indecifrabili per chi non conosca l’argomento […]. Una bottiglia del tremendo rum australiano, il Cigno Bianco, è poggiata su uno sgabello”. Per il resto niente.