Soldati rumeni deportano gli ebrei di Odessa nel '41 (Wikipedia) 

uffa!

Odessa, 1941. La caccia all'ebreo si trasformò in un terrificante pogrom

Giampiero Mughini

Un massacro terribile e che non vide protagonisti i "nazisti ucraini", ma i tedeschi e i rumeni che nel giugno del '41 si erano scagliati contro l'Unione sovietica. La presa della città gli costò ingenti perdite, e un attentato dopo la conquista scatenò la rappresaglia. Contro il capro espiatorio, ovviamente

Di tutte le città del mondo, poche hanno la forza evocativa di Odessa, la città ucraina ubicata oggi come ieri al centro della topografia più drammatica del Novecento. Dici Odessa e a tutti noi vengono le immagini della famosa scalinata da cui partono le scene cinematografiche più incalzanti del memorabile La corazzata Potëmkin di Sergej Eizenstein, quella scalinata alta 27 metri per una lunghezza di 142 su cui soccombono i primi morti della rivoluzione del 1905 che cambiò la storia della Russia e del mondo. Ebbene per almeno tre volte la città di Odessa ha fatto da palcoscenico della più sanguinaria storia europea recente. 

Nel 1905, al tempo del film di Eizenstein, spetta ai marinai in rivolta della famosa corazzata versare il loro sangue sotto il fuoco dell’esercito zarista, sangue che fungerà da molecola originaria del colpo bolscevico del 1917. Il 2 maggio 2014 quando, e senza che la più parte di noi se ne accorgesse, è cominciata la guerra in Ucraina, ossia il giorno in cui si fronteggiarono un cospicuo corteo nazionalista di gente che voleva l’Ucraina ben separata e ben diversa dall’Urss e dall’altra un ringhioso raggruppamento di circa 300 filorussi che s’era dato un vero e proprio accampamento in piazza Kulykova. Da una parte e dall’altra non erano solo le parole a fiammeggiare, ma anche i bastoni, le asce e le armi da fuoco. A partire dalle 15 si contano i primi uccisi. Le notizie corsero al punto da accrescere enormemente lo schieramento che chiamerò nazionalista e che puntò contro l’accampamento di piazza Kulykova. In numero nettamente inferiore com’erano, poco dopo le 18 i filorussi si rifugiarono e si barricarono all’interno della Casa dei sindacati che si affacciava sulla piazza da cui erano stati sloggiati. A partire da questo momento lo scambio di bottiglie molotov diventa cruento, e dopo le 19 la Casa dei sindacati va in fiamme. Bruciati vivi o precipitati nel tentativo di lanciarsi fuori dall’edificio, di filorussi ne muoiono 42. In Ucraina vennero proclamati due giorni di lutto nazionale. Ciascuna delle due parti continua a raccontare una sua e diversissima versione di quanto accaduto. E’ un ago rovente conficcato nella memoria diffusa della gente ucraina. 

Eppure il più drammatico di tutti è il terzo “massacro di Odessa”, quello di cui l’opinione pubblica italiana ne sa meno pur  trattandosi di una tragedia che sta al picco delle tantissime tragedie della Seconda guerra mondiale. Era successo che la Romania governata da Ion Antonescu avesse schierato più di mezzo milione di uomini a fianco dei tedeschi che il 22 giugno 1941 s’erano scaraventati contro l’Urss. Erano le truppe rumene a costituire l’ossatura del lato destro dello schieramento offensivo. E dunque quelle che facevano a da fulcro dell’attacco alla città di Odessa, un attacco cominciato l’8 agosto 1941. Prima di Stalingrado, leggendaria è la resistenza delle linee fortificate russe tutt’attorno a Odessa. Lenta e costosissima in termine di perdite umane è l’avanzata delle truppe antirusse. Leggenda nella leggenda, è nella difesa di Odessa che il più grande cecchino dell’esercito russo nella Seconda guerra mondiale, la venticinquenne Ljudmila Michajlovna Pavlicenko (nata nel 1916), colpisce i suoi primi bersagli. Nella battaglia di Odessa le vengono computati 187 soldati nemici uccisi. A fine guerra le vennero riconosciuti 309 nemici abbattuti, e fra essi 36 tiratori scelti contro cui lei donna s’era misurata colpo su colpo. Di duemila cecchine sovietiche era stata una delle 500 sopravvissute.

Rumeni e tedeschi riuscirono a conquistare Odessa solo il 16 ottobre 1941. Le perdite rumene erano state ingenti. Non solo. Pochi giorni dopo, il 22 ottobre 1941, un micidiale ordigno apprestato da partigiani russi manda in pezzi l’intero quartier generale rumeno. Muoiono 67 persone tra cui il generale che Antonescu aveva nominato governatore militare di Odessa. La furia della rappresaglia rumena nei tre giorni tra il 22 e il 24 ottobre è illimitata. Beninteso è una furia che si è data un capro espiatorio, ossia i poco meno che centomila ebrei rimasti a Odessa dopo l’arrivo di rumeni e tedeschi. Non che ci sia un collegamento tra loro e la bomba esplosa al quartier generale. No, hanno solo la colpa di essere ebrei e quanto all’equazione ebrei = comunisti è un’equazione di ferro agli occhi di Antonescu e dei generali a lui vicini. La parola d’ordine è uccidere gli ebrei a profusione, e poco importa se tra loro ci sono donne, vecchi, bambini. Purché siano buoni da uccidere, da impiccare e lasciarli appresi nelle piazze, da sparar loro a vista, da mitragliarli a grappoli, da bruciarli vivi. Non è qualcosa a suo modo di militare, qualcosa che attiene alla guerra e alla sua inevitabile ferocia, è un pogrom che fa impallidire altri eppure terrificanti pogrom della storia rumena, tipo quello di Iasi (la capitale della Moldavia rumena, la seconda città più popolosa di Romania) dove in tre giorni del giugno 1941 vennero massacrati quindicimila ebrei. Nella Odessa dell’ottobre 1941, e per quanto sia arduo un tale computo, gli ebrei uccisi furono più o meno il doppio. A guerra finita nelle fosse comuni tutt’attorno a Odessa furono ritrovati più di ventiduemila corpi.

Personalmente trovo ripugnanti i processi che in politica i vincitori fanno ai vinti. Se l’esito della Seconda guerra mondiale fosse stato diverso, in una qualche città tipo Norimberga sarebbero stati imputati gli uomini che avevano ordinato i bombardamenti di Dresda e di Hiroshima. Ho guardato più volte con un senso di commiserazione il video che mostra i quattro rumeni condannati a morte da un tribunale filosovietico, Antonescu e tre suoi ex ministri, mentre si avvicinano a piedi alla radura dove verranno fucilati il 1° giugno 1946. Di certo, eccome se l’avevano fatta sporca a Odessa.

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