Uffa!
Due donne diverse a Praga. Storia di Milada e Ludmila e di un processo farsa
Milada Horáková venne arrestata con l'accusa di collaborare con una potenza straniera contro il governo sovietico in Cecoslovacchia. Morì il 27 giugno 1950 per soffocamento, su esplicita richiesta del pubblico ministero Ludmila Brozova-Polednová
Per essere uno la cui vita è stata segnata dalle donne, ossia dal rapporto contraddittorio e doloroso con ognuna di loro, ai miei occhi non esistono le “donne” in quanto categoria indeterminata, e bensì Anna, Virginia, Babu, Natalia, Barbara, Michela, le singole donne da cui è venuta ogni particella del mio stare al mondo. Non esistono “le donne”, e bensì di volta in volta quella determinata creatura femminile. Per me esiste eccome una donna di nome Milada Horáková. Era nata a Praga il 25 dicembre 1901. Nel 1926, l’anno della sua laurea in Giurisprudenza, aderisce al Partito socialista nazionale cecoslovacco.
Quando i nazi occupano la Cecoslovacchia, lei diventa una figura di rilievo della opposizione clandestina. I nazi la acciuffano e la condannano a morte. La condanna commutata in un ergastolo, Milada espierà cinque anni tra campo di concentramento e prigione tedesca. Nell’immediato Dopoguerra diventa una parlamentare nonché la presidente del Consiglio nazionale delle donne cecoslovacche. Al momento del colpo di stato del febbraio 1948, con cui i comunisti cecoslovacchi alimentati dall’Urss diventano i padroni assoluti della Cecoslovacchia, lei si dimette dal Parlamento. Il 27 settembre 1949 viene arrestata con l’accusa di essere al servizio di una potenza straniera che mira a rovesciare il governo cecoslovacco. Il 31 maggio 1950 inizia il processo contro di lei e altri undici suoi compagni avversi alla dittatura comunista.
C’è che di quel processo la prima figura tra gli imputati in cui mi ero imbattuto era un uomo, Závis Kalandra, uno che negli anni Trenta era stato un amico dei surrealisti francesi e che del loro lavoro ne aveva scritto con particolare intelligenza. Tanto che André Breton aveva diffuso in Francia un appello in sua difesa e aveva sollecitato l’ex surrealista e adesso comunista a tutto spiano Paul Éluard di sottoscrivere quell’appello. Ciò cui Éluard si rifiuta, dato che Kalandra in aula aveva confessato di avere agito davvero al servizio di una potenza straniera, evidentemente costretto a ciò da interrogatori spietati che erano arrivati a durare tre giorni e tre notti di seguito. Di quei dodici imputati Kalandra non era stato l’unico a confessare sotto tortura. Quand’ecco una donna. Nel frugare attorno a Kalandra trovai le immagini di Milada Horáková in piedi, le mani appoggiate a una sorta di ringhierina in legno, mentre la stavano interrogando nell’aula del tribunale. Era una creatura minuta, alta sì e no un metro e 65, l’aria segnata da una detenzione che durava ormai da nove mesi. Sottoposta a interrogatori che erano durati anche 50 ore di seguito, questa donna non aveva confessato. Né avevo mai visto tanta fierezza come in questa donnina che se ne stava in piedi dinnanzi a quei cinque energumeni che fungevano da giudici, uomini senza onore che prima del processo avevano avuto dai capi politici del paese la raccomandazione di essere spietati nei confronti degli imputati. E difatti quattro dei dodici imputati furono condannati a morte. Fra cui la Horáková. Pur in tempi di ferro e di fuoco era talmente abnorme il caso di una donna politica immacolata che veniva condannata a morte con accuse risibili, che da tutto il mondo si levarono le voci a difesa della integerrima socialista cecoslovacca. Winston Churchill e Albert Einstein mandarono lettere personali al boia stalinista Klement Gottwald, apposto dai russi alla testa della Cecoslovacchia. Niente. La condanna a morte venne confermata in appello. Poco dopo le sei del mattino del 27 giugno 1940, la Horáková fu l’ultima dei quattro a essere impiccata. L’unica donna fra i 178 giustiziati durante i 42 anni della Cecoslovacchia comunista.
E qui viene il meglio, di cui sono debitore al giornalista e scrittore trevigiano Sergio Tazzer, l’autore del Praga tragica dedicato al caso Horáková pubblicato nel 2008 dalla Libreria Editrice Goriziana. Un libro che avevo comprato tempo fa ma che ho divorato soltanto adesso, e ne ho tratto la ragione di queste mie note. Per il fatto, a proposito di donne che non sono tutte eguali, che il pubblico ministero del processo era stato a sua volta una donna. Nata a Praga nel 1921, Ludmila Brozova-Polednová aveva 29 anni ed era fresca di laurea al momento del processo contro i “dodici” di Praga. Proveniente da una famiglia operaia, una che aveva fatto la dattilografa in un ufficio del Partito comunista cecoslovacco, era il personaggio più adatto al ruolo di pubblico accusatore in un processo farsa. Ebbene nella sua arringa lei chiese formalmente che l’impiccagione della Horáková avvenisse nel modo più lento possibile, non per la rottura della cervicale ma per soffocamento.
Qualcuno riferisce che alla mattina dell’esecuzione lei scoppiasse in un risata di gioia quando vide penzolare il cadavere della Horáková. E del resto a Praga, alla notizia dei quattro impiccati, gruppi di studenti comunisti si misero a cantare e ballare per le strade. Né il nostro romanzo si ferma qui. Siccome alcuni decenni dopo le cose in Cecoslovacchia si erano arrovesciate rispetto al 1950 e la Horáková era stata completamente riabilitata, il 2 novembre 2007 quella che aveva riso alla sua morte per soffocamento venne condannata ottantaseienne a otto anni di prigione perché corresponsabile di quattro omicidi. Nel marzo 2009 la Brozova-Polednová in prigione ci andò davvero e ci rimase per un annetto e passa finché non la graziarono per motivi di età e di salute. Se noi giudichiamo questo ultimo processo e relativa condanna una cosa ben fatta? Certo che no, sono processi tutti insussistenti quelli che in politica i vincitori fanno ogni volta ai vinti. Ma noi ragioniamo così perché siamo liberali, e non comunisti. Un termine che in fatto di infamia non ne evoca meno del termine nazisti.