Uffa!
La strada senza uscita delle armi all'Ucraina
Nel nuovo libro "Non nel mio nome" Michele Santoro si espirme sull'invio di aiuti militari a Kyiv. Opinioni divergenti. Si resta d'accordo sugli orrori di una guerra dove la causa della pace non ha ancora fatto un passo avanti
Mi arriva fresco fresco di stampa dalla Marsilio un agile volumetto di Michele Santoro, Non nel mio nome, marchiato da una dedica che mi è piaciuta: “Caro Giampiero, sapendo che la diversità non ti disturba”. Altro che se mi disturba, ci sguazzo nelle diversità dei tragitti intellettuali e delle opinioni di ciascuno di noi. E del resto io stesso sono talvolta “diverso” da me medesimo, se mi rivolgono due volte la stessa domanda non è detto che risponda tutt’e due le volte alla stessa maniera. Con Santoro non ho mai avuto rapporti professionali, mai lui mi ha invitato a una di quelle macchine perfette che erano le puntate televisive di cui lui è stato a lungo il sovrano. Anzi no, una volta sì che mi ha invitato, a una puntata dedicata ai fatti e misfatti del pallone in Italia. Direte che è un tantino offensivo che mi abbia chiamato a quella sola e unica puntata. A pensarci bene, lo è senz’altro. Una volta invece sono stato io a chiamarlo al telefono, nel 2002, a dirgli che mi spiaceva che lui, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi fossero stati estromessi dalla Rai a seguito dell’“editto bulgaro” di Silvio Berlusconi. Quanto alla “diversità”, io mai e poi mai ho pensato di promuovere una qualche mia visione del mondo che lo rendesse migliore. Mai, se non forse in un qualche sproloquio dei miei vent’anni. Non me ne sento le forze di convincere chicchessia a comportarsi come io vorrei. Ciò cui invece Santoro pensa da mane a sera. Con questo agile volumetto ivi compreso, e non che non sia lungo l’elenco delle cose di questo mondo che varrebbe la pena migliorare.
Santoro ha perfettamente ragione quando dice che i politici in tv dovrebbero presentarsi con delle slide dove fosse scritto nudo e crudo se da un anno all’altro le differenze tra nord e sud sono aumentate oppure no, se da un anno all’altro è diminuito oppure no il numero di ben tre milioni di giovani che non lavoravano non studiavano non si formavano, se da un anno all’altro è diminuito oppure no il tempo necessario per riuscire a fare una tac in una struttura pubblica, se da un anno all’altro i poveri sono diminuiti oppure aumentati. Libero ognuno di commentare come vuole le relative risposte, ma è lì che duole il dente delle società postindustriali del terzo millennio. Con le risposte a queste domande deve fare i conti una politica al passo con le sfide del presente.
Ma a fare da nervatura ossea del libro di Santoro è una questione di politica estera, e cioè se sì o no la politica di inviare sempre più armi e sempre più micidiali all’Ucraina sia la maniera migliore di fare i conti con la più grande tragedia al mondo, la guerra che in Ucraina sta spazzando via vite a decine di migliaia, intere città, interi comparti della società civile. Infinitamente più che non sulle questioni della cosiddetta “dittatura sanitaria” – su cui le mie posizioni divergono ampiamente da quelle di Santoro, ma di questo a un’altra occasione – è su questo argomento che non so dire esattamente dove finiscano i confini delle convinzioni di Santoro e dove comincino i confini delle mie. Facile, facilissimo dire che senza quelle armi i panzer russi sarebbero probabilmente arrivati a trafiggere in poco tempo il cuore della nazione ucraina. E del resto non mi pare che Santoro la neghi questa verità palmare. No, di certo non la nega.
Il fatto è che a lui brucia ancora come sono andate le cose in Afghanistan e in Iraq, dove le guerre occidentali hanno provocato morte e distruzioni. In Iraq dove mai sono state trovate le armi di distruzione di massa la cui presenza minacciosa aveva fatto scattare l’invasione americana durata dal 2003 al 2011, in Afghanistan dove dopo vent’anni i soldati dell’alleanza Nato si sono ritratti con la coda fra le gambe e i talebani sono nuovamente padroni incontrastati della situazione. Niente a che vedere con l’Ucraina, dov’è palmare chi siano i cattivi e chi siano i buoni. Ma dov’è altrettanto palmare che la causa della pace non ha fatto un passo in avanti dopo ben sei mesi in cui le due parti in lotta si sono affrontate selvaggiamente. Anzi dove non emergono minimamente i termini di una possibile tregua, di un possibile accordo a far tacere i cannoni, di un possibile compromesso tra ucraini e russi. Niente di tutto questo. Solo annunci dall’una e dall’altra parte che loro stanno per fare il culo agli avversari. Glielo faranno a qualsiasi costo, magari a costo di lesionare la centrale nucleare più grande d’Europa con tutto quel che ne consegue. Da come ne scrive, mi sembra che a Santoro piacerebbe l’eventuale decisione da parte occidentale di sospendere l’invio delle armi in Ucraina. Scrive difatti che uno come Gino Strada, il medico che ha dedicato tutto sé stesso al salvare vite a Kabul, non avrebbe avuto dubbi in proposito. Opinione che non è la mia, non lo è affatto, solo che di questa diversa opinione non me ne vanto. Riesco ormai a stento a guardare le immagini di morte e distruzione che a grandi razioni i telegiornali ci offrono tutti i giorni, immagini di una violenza inaudita se pensi che quelli che si stanno ammazzando è gente che sino all’altro ieri parlava la stessa lingua, che magari aveva studiato nelle stesse scuole. Come se d’un tratto in Italia veneti e calabresi cominciassero ad azzannarsi a morte l’un l’altro.
A differenza di Santoro non ho risposte. Ne condivido però lo smarrimento, l’angoscia, la sensazione che noi tutti abbiamo imboccato una via senza uscita. Una via alla fine della quale l’Ucraina sarà ridotta alla maniera delle città tedesche della primavera del 1945. O forse lo è già, e senza dire che il peggio deve ancora venire. Ve lo immaginate seppure lontanamente un eventuale processo ai combattenti ucraini dell’acciaieria Azovstal che si concludesse con la loro condanna a morte? Riuscite per un attimo a solo immaginare un tale orrore?