Uffa!
I mesi di Céline tra carcere e ospedale, a un passo dalla condanna a morte
Il plotone d’esecuzione per i “traditori” collaborazionisti nella Francia del 1945-46. Come sempre nella storia dell’uomo, i “vincitori” non usavano i guanti bianchi nei confronti dei “vinti”
Se uno dei più grandi scrittori del Novecento, Louis-Ferdinand Destouches detto “Céline”, è stato nel secondo Dopoguerra a un passo dall’affrontare un plotone di esecuzione? Piuttosto sì che no. Era successo che poco prima dell’arrivo delle forze alleate a Parigi, nel marzo 1944, lui avesse abbandonato di gran corsa il suo domicilio di rue Girardon lasciandovi un metro cubo di inediti documenti letterari. Dopo un soggiorno nel castello tedesco di Sigmaringen dove avevano fatto gruppo i più importanti fra quanti s’erano schierati dalla parte dei nazi, il 18 marzo 1945 Céline ottiene un visto per la Danimarca. Arriva a Copenaghen il 27 marzo, mentre a Parigi un giudice d’istruzione sta per emettere un mandato d’arresto nei suoi confronti “per tradimento” della patria.
Erano mesi in cui non c’era scampo per i pur prestigiosi scrittori collaborazionisti. Come sempre nella storia dell’uomo, i “vincitori” non usavano i guanti bianchi nei confronti dei “vinti”. Robert Brasillach, colpevole di avere scritto degli articoli (furibondi) e dei libri, dopo un processo durato poche ore era stato fucilato il 6 febbraio 1945. Pur di non finire da imputato in un’aula di tribunale, il 16 marzo 1945 Pierre-Drieu La Rochelle ci riesce finalmente nel suo terzo tentativo di suicidio. L’11 ottobre 1945 viene fucilato Jean Hérold-Paquis, uno scrittore e giornalista che a Radio Paris era stato un aedo della Germania nazi. Il 15 ottobre 1945 viene fucilato l’ex capo del governo di Vichy, Pierre Laval, uno che lo portano in barella sul luogo dell’esecuzione dopo che all’alba non gli era riuscito di suicidarsi. Il 23 febbraio 1946 cade sotto i colpi del plotone di esecuzione Jean Luchaire, quello che da direttore (pagatissimo dai tedeschi) di uno dei suoi giornali aveva avuto come segretaria la figlia di un ebreo polacco, Simone Signoret. Solo più tardi i condannati a morte cominciarono a essere graziati. Una grazia di cui nel novembre 1946 beneficiò Lucien Rebatet, l’autore del maggiore successo letterario durante l’occupazione nazi, il selvaggio (e bellissimo) Les Décombres del 1942. Il 2 dicembre 1945 era stato assassinato per strada il quarantatreenne Robert Denoël, l’editore belga che aveva pubblicato in Francia Les Décombres nonché i pamphlet antisemiti di Céline, ma anche i libri di scrittori vicini ai comunisti quali Louis Aragon e Elsa Triolet. I suoi assassini non verranno mai identificati.
Ma torniamo a Céline e al suo destino di scrittore “collaborazionista” rifugiatosi in Danimarca. Mentre stanno crepitando i fucili dei plotoni d’esecuzione, il 17 dicembre 1945 il ministro degli Esteri francese Guy de Girard de Charbonnières chiede formalmente al suo omologo danese l’arresto di un Céline accusato di “tradimento” della patria, accusa che in Francia vale la pena di morte. All’indomani il cinquantunenne Céline e la moglie trentatreenne Lucette Almansor vengono arrestati dai danesi, i quali non possono non prendere sul serio l’accusa rivolta contro l’autore di quel romanzo del 1932, Voyage au bout de la nuit, che ha sconvolto la letteratura mondiale. Per adesso si limitano a tenere Céline in prigione, da dove più e più volte lo trasferiscono in ospedale da quanto è malmesso. Immediatamente liberata, Lucette avvia il suo va e vieni tra la casa dove vive e la prigione/camera d’ospedale dov’è recluso Céline. Una volta, e pur di farglielo accarezzare, gli porta nascosto in un sacco Bébert, il gatto più famoso della letteratura europea. Lo scrittore francese riavrà la libertà soltanto alle undici del mattino del 24 giugno 1947, dopo aver dato la sua parola d’onore che non fuggirà via dalla Danimarca. Prove che Céline avesse tradito la sua patria, i danesi ne avevano trovato niuna.
Di quell’anno e mezzo trascorso da Céline sotto la spada di Damocle di un’eventuale estradizione in Francia, esistono documenti giudicati “incomparabili” dall’avvocato François Gibault, l’autore della biografia di Céline in tre tomi che detta legge. E’ stato lui a curare Lettres de prison à Lucette Destouches et à Maître Mikkelsen 1945-1947 (Gallimard, 1998), la raccolta di lettere disperate che un uomo con l’acqua alla gola inviava alla moglie e al suo avvocato danese nei mesi della sua reclusione. Lettere che debuttavano così: “Mi permetto di ricordare che sono un mutilato di guerra (14-18) invalido al 75 per cento – braccio e testa – che soffro terribilmente giorno e notte da trent’anni – che da trent’anni non ho mai dormito un gran che […] Che sono pressoché incapace di una passeggiata un tantino prolungata – e di ogni sforzo fisico”. Contro l’accusa di aver “tradito” la sua patria scrive al suo avvocato difensore: “Sollecito il governo danese a volermi accordare lo statuto di rifugiato politico e di proteggermi… Sono uno scrittore e nient’altro che uno scrittore. Non ho mai lavorato per conto di giornali o della radio o di chicchessia. Mai stato membro di un partito o di un raggruppamento. Non ho mai fatto politica”. Ammetteva, in un’altra lettera, di avere scritto durante l’occupazione nazi Les Beaux Draps, quel pamphlet del 1941 assieme ripugnante e effervescente che in fatto di violenza antisemita non scherzava. Ne ho una copia tutta sfasciata con la menzione “decima edizione”. Una copia della prima edizione è adesso offerta online a 2.800 euro. Céline è forse lo scrittore più ardentemente collezionato in Francia. Nel catalogo d’asta di una strepitosa collezione di letteratura francese del Novecento, costruita in sessant’anni da Jean-Paul Kahn e sua moglie Geneviève, c’era una delle dieci copie della tiratura di testa della prima edizione del Mort à credit del 1936. Partiva da una base d’asta tra i 40 e i 50 mila euro. Ovvio che dalla sua raccolta fossero assenti i pamphlet antisemiti, dove quelli che portavano il nome “Cohen” Céline li chiamava youpins, “ebreucci”.