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I tre nomi di Oreste Del Buono, fra i padri di Linus e rabdomante di talento
Un ricordo a cento anni dalla nascita di un personaggio irriproducibile, direttore dal '71 all'81 della più bella rivista di fumetti del mondo. L'incontro con Andrea Pazienza, le didascalie e le foto per Armani
Se è vero che il mensile di fumetti Linus, diretto prima da Giovanni Gandini (1965-1971) e poi da Oreste Del Buono (1971-1981) e poi ancora da Fulvia Serra (1981-1995), è stata la più bella rivista di fumetti nel mondo, è altrettanto vero che l’attuale Linus mensile, edito da Elisabetta Sgarbi e diretto del formidabile raccontatore per immagini che ha nome Igort, è la più bella rivista (anzitutto graficamente) di cultura italiana in tempi in cui nessuno più le riviste di cultura le cova e le legge. Smagliante è questo suo numero recentissimo, il numero 03 del cinquantanovesimo anno di edizione, dedicato al personaggio irriproducibile che è stato Del Buono, morto il 30 settembre 2003 e di cui l'8 marzo 2023, scattano i cento anni da quando era nato a Poggio sull’isola d’Elba.
C’è che quando ti appigli a Del Buono le due mani non ti bastano, da quanto sono svariati e succulenti i tratti biografici e culturali che ne hanno marchiato il cammino nell’editoria italiana del secondo Dopoguerra. Che cosa non è stato e che cosa non ha fatto Del Buono nel girovagare lungo sessant’anni tra editori e redazioni di giornali di ogni sorta, da cui alla prima occasione si congedava bruscamente. Quel suo record di cento o poco meno “dimissioni” che gli appartiene di diritto. Talmente Del Buono era sfuggente alle classificazioni che quando il piccolo grande editore Vanni Scheiwiller il 9 marzo 1993 volle dedicargli un volumetto che ne commemorasse i 70 anni compiuti, non riuscendo a fargli scrivere qualcosa finì per pubblicare a firma Oreste Del Buono Il meglio dei miei pensieri, un minuscolo librino nel formato trentaduesimo le cui poche pagine erano interamente bianche, e non che per questo risultassero meno raggianti per i tanti di noi che amavamo Del Buono. E comunque lui era il tipino che quando gli arrivò la copia staffetta di un suo romanzo del 1978, l’einaudiano Un’ombra dietro il cuore, gli apparve un libro sbagliato e fece fuoco e fiamme al punto da pagargli sei milioni di lire purché l’editore torinese ne mandasse al macero tutte le copie stampate. Sono andato a verificare se nelle nove pagine di libri di Del Buono offerti da Amazon ce ne fosse per caso una copia sopravvissuta. Non c’era.
Ma torniamo al numero speciale di Linus appena arrivato in edicola a commemorare i cento anni dalla nascita di Del Buono, e lo fa a cominciare dall’azzeccatissimo titolo d’avvio, “L’uomo che amava il talento”. Perché a differenza dei troppi che hanno a cuore solo il proprio di talento – sia esso reale o immaginato – e si sforzano di promuoverlo da mane a sera, Del Buono era uno rabdomantico nel cercare il talento degli altri e nel valorizzarlo. Da giornalista e traduttore e consulente editoriale lo ha fatto tutta una vita. Giorgio Scerbanenco si confidava con lui quando aveva preso a scrivere i magnifici romanzi del ciclo dominato dal personaggio di Duca Lamberti, il medico radiato dall’albo per eutanasia, quei romanzi che costituiscono i primissimi romanzi polizieschi all’italiana. Quando incontravi Del Buono sempre ti guardava e ti ascoltava al modo di qualcuno che volesse trovare qualcosa in te. Una volta che a Roma li intravidi che passeggiavano per strada, lui e la sua compagna la giornalista Lietta Tornabuoni, dissi loro ad alta voce che mi apparivano come la coppia più bella del mondo. In uno degli scritti più efficaci tra quelli apparsi sul numero di Linus, lo scrittore e giornalista Antonio D’Orrico, che aveva lavorato fianco a fianco con del Buono alla casa editrice Baldini e Castoldi, la racconta così: “Mi spiegò che si firmava Oreste Del Buono quando scriveva articoli giornalistici, Oreste Del Buono quando scriveva romanzi e odb nei corsivi, nei piccoli commenti. Non voglio atteggiarmi a lacaniano (nel senso dello psicanalista Jacques), ma a quei tre nomi corrispondevano tre persone molto diverse tra loro”. Appartiene alla leggenda la volta che alla redazione milanese di Linus si presentò a Del Buono uno studente del Dams di Bologna poco più che ventenne di nome Andrea Pazienza, uno che sottoponeva al suo giudizio le tavole di una sua storia a fumetti che altro non era se non la strepitosa Le straordinarie avventure di Pentothal, quella che nel 1977 uscì a puntate su Alter Alter – la rivista cugina di Linus, destinata ai fumetti più innovativi – e che nel fare di Bologna la città capitale dell’intero Settantasette cambiò rotta alla storia del fumetto italiano. Del Buono smentì la diceria che Pazienza gli si fosse presentato forte di una sorta di raccomandazione scritta di Umberto Eco. Il quale a sua volta smentirà Del Buono raccontando che effettivamente gli aveva fatto una telefonata a dirgli quanto fosse bravo e originale Pazienza.
C’è un pezzo di Del Buono memorabile tra quelli raccolti da Igort per la sua rivista. Risale a un giorno della primavera del 1989, quando Del Buono entrò al numero 18 di via Palladio a Milano. Dov’era un celebre teatro di posa in cui in quel momento Giorgio Armani stava apprestando la sua collezione autunno inverno 1989-1990. Ebbene quell’anno e la volta successiva, la collezione primavera-estate 1990, Del Buono apporta la sua firma ai cataloghi di moda di Armani nel senso di scrivere delle accurate didascalie a fascinosissime foto in bianco e nero che danno risalto a personaggi maschili e femminili avvolti dagli abiti Armani. Di una foto dove sono un lui e una lei che hanno l’aria di essere molto contenti dell’incontrarsi, Del Buono scrive così: “Paige, giovane star […] Ostentatamente, teneramente artificiale, atteggiata come un’attrice di mimo: per piacere a lui, soprattutto per piacere a lei (se stessa), per sentirsi certa di essere, sicura di essere desiderabile, tranquillizzata di essere la più”. Nobilitare a modo suo la moda, un tocco ulteriore rispetto ai tanti cui l’inarrestabile Del Buono aveva dedicato la vita.