Olycom

uffa!

Dal Timor alla Putrella, il leggendario design di Enzo Mari accessibile a tutti

Giampiero Mughini

Era sua l'idea che gli oggetti di design dovessero essere tali da costare il meno possibile, resta difatti leggendario il catalogo di diciannove mobili possibili che aveva disegnato e che ciascun acquirente avrebbe potuto costruire da sé, secondo precise istruzioni

E mentre da essere umano piango la morte della scrittrice Michela Murgia, da cui pure ero lontanissimo, continuo a non darmi pace di come l’èra Covid abbia infierito su quel mondo del design e delle arti applicate che mi è talmente caro. Sono almeno tre i giganti che quello stramaledetto virus s’è portato via nello spazio di pochi mesi del 2020, l’architetto Vittorio Gregotti (nato nel 1927), lo studioso di arte contemporanea Germano Celant (nato nel 1940), il designer Enzo Mari (nato nel 1932) che nella sua carriera vantava ben 5 Compassi d’Oro, morto a Milano il 19 ottobre 2020 e a cui fece seguito il giorno successivo la morte della moglie, la critica d’arte Lea Vergine, la donna con cui era unito da 54 anni.

Mi soffermo sulla memoria che conservo di Mari. Il fatto è che con il Mari designer è come se io ci vivessi tutti i giorni che Dio manda in terra. Quando mi alzo al mattino ed entro nel mio studio dove passerò la buona parte della giornata, la prima mossa che faccio è allineare le bande orizzontali del suo famoso calendario perpetuo, il Timor prodotto dalla Danese nel 1967 e tuttora in vendita, quello di cui con tre movimenti della dita indichi rispettivamente il giorno della settimana, la data, il mese. Quando sono a pranzo o a cena con Michela nella cucina di casa mia, adopero sempre il Piuma, il set di posate che Mari aveva progettato per la Zani&Zani, quell’asse in acciaio inox e relativi ganci a ognuno dei quali sono appese sei per ciascuna delle quattro posate, forchette e cucchiai e coltelli  di cui potrai avvalerti agevolmente per tutta la durata del pasto, una sublime funzionalità successivamente copiata da tanti. Quando prendo in mano uno dei grandi libri della cultura italiana del Novecento, il Note Azzurre che un’Adelphi al debutto della sua avventura editoriale aveva pubblicato nel 1964 in edizione finalmente (semi) integrale, ne vado in estasi innanzi alla veste grafica (astuccio ivi compreso) che gli aveva apprestato Mari. Quanto alla mia collezione di design italiano, un posto d’onore spetta all’esemplare in edizione originale della celeberrima Putrella messa in mostra da Mari al Centro Danese di Milano nel 1958, quel profilato in ferro pesante a doppia T che si usa nell’industria edile e di cui lui aveva curvato verso l’alto le estremità a farlo diventare una sorta di centrotavola, un eventuale contenitore da piazzare su una tavola da pranzo. E’ divenuto un oggetto talmente iconico del design italiano, che la Danese continua a produrne ogni anno cento esemplari numerati e firmati. Nel suo 25 modi per piantare un chiodo (Mondadori, 2011), Mari scrive che quel suo oggetto lo sente come un simbolo di quel che dovrebbe essere il design, ossia il saper conferire dimensione estetica a un oggetto tipicamente industriale, a un oggetto la cui serialità permetteva di ridurne al massimo il prezzo finale da far pagare all’utente. Quanto alla sua idea che gli oggetti di design dovessero essere tali da costare il meno possibile e dunque accessibili a tutti, resta difatti leggendario il progetto di Mari con cui l’8 aprile 1974  diede vita a una mostra alla milanese Galleria Milano e al relativo catalogo dal titolo  “Proposta per un’autoprogettazione”. Era il catalogo di diciannove mobili possibili che Mari aveva disegnato – sedie, tavoli da lavoro, letti, un armadio anche – e che ciascun acquirente avrebbe potuto costruire da sé fatti com’erano di banali assi di legno, da comperare nei magazzini fai-da-te secondo precise istruzioni contenute nel catalogo, per poi inchiodarle l’una all’altra. Mobili che suscitarono l’iniziale entusiasmo di Dino Gavina, il capintesta della Simon, una delle aziende italiane di design allora più innovatrici, il quale però poi lasciò perdere. Con grande delusione di Mari, immagino. Così come dové essere deludente l’incontro che lui – uno che ci credeva ciecamente alla superiorità morale ed effettuale del “falce e martello” – ebbe con alcuni militanti della contestazione studentesca milanese del Sessantotto, ai quali aveva chiesto come l’avrebbero voluta una stanza da letto a casa loro, e quelli risposero che la volevano munita di un materasso ad acqua, il bordo del letto in marmo ben in vista, il televisore sul soffitto, un lampadario di Murano che illuminasse il tutto. “Paccottiglia brianzola da sceicchi o da paginone centrale di Playboy”, commenterà il nostro Mari.

Non ho mai osato incontrarlo di persona, perché tutti sono concordi nel dire che Mari non era un uomo facile. I suoi libri o quelli che lo riguardano più direttamente, sui quali mi butto a pesce ogni volta che ne vedo uno su un qualche catalogo antiquario, li tengo accucciati in un angolo sacrale della mia biblioteca. Libri prescelti collezionati studiati come si fa con quelli di un maestro. Mari proveniva da una famiglia dove di soldi ce n’erano pochissimi. Come Giuseppe Prezzolini, non aveva nemmeno la licenza liceale. Poté frequentare l’Accademia di Brera perché quella licenza non la richiedevano. Nella febbrile Milano degli anni tra i Cinquanta e i Settanta gli fece in un certo modo da padre Bruno Munari, che aveva quindici anni più di lui e che nel percepirne la genialità gli aprì le porte dell’universo Danese, che in quel momento era alla punta del design non solo in Italia ma in tutto il mondo. A giudicare dalle pagine che Michele Mari, uno dei maggiori scrittori italiani contemporanei, ha dedicato al padre in un suo libro autobiografico, nemmeno il loro rapporto deve essere stato facile. Mari figlio era nato dal matrimonio del padre con la sua prima moglie, Iela Mari, altro tipino coi controfiocchi a giudicare dai libri per bambini che ha firmato talvolta in combutta col marito e talvolta da sola per i tipi delle edizioni Emme di Rosellina Archinto, squisite edizioni su cui presto ritorneremo.

Di più su questi argomenti: