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UFFA!

Quelli come noi che cominciarono a rompere il muro tra destra e sinistra

Giampiero Mughini

“Su tempi appena trascorsi”, il libro di Giovanni Tassani è una miniera per coloro che amano i personaggi non univoci e che odiano i luoghi comuni

Sarà perché alla mia veneranda età è inevitabile vivere volgendo il capo all’indietro, a cercarvi idee personaggi o libri che hanno modificato la traiettoria del mio destino, fatto è che nello scorrere le pagine di quest’ultimo libro del sociologo e giornalista forlivese Giovanni Tassani (nato nel 1943), Su tempi appena trascorsi (edizioni Una città, 2023), mi sono un tantino commosso. Perché c’era anche lui, il Tassani che da un po’ di anni avevo perduto di vista, in quegli incontri e in quei conciliaboli di oltre quarant’anni fa in cui ci trovammo faccia a faccia alcuni di noi che venivano dalla sinistra (Massimo Cacciari, Tassani, il sottoscritto) con alcuni più o meno coetanei detti di “nuova destra” (Marco Tarchi, Stenio Solinas, Umberto Croppi) nel frattempo divenuti intellettuali noti e apprezzati nell’Italia di oggi. (Non smetterò mai di dire che la casa editrice Sette Colori di cui Solinas è oggi il governatore sommo è una sorta di Adelphi nata a destra, e ammesso che la polarizzazione destra/sinistra nel Terzo millennio valga ancora due soldi, del che dubito.) 


Era la prima volta nel dopoguerra che qualcuno ci provasse a chiuderla a doppia sprangata la tragedia della guerra civile 1943-1945. Loro erano quello che erano, noi eravamo quello che eravamo, e allora? L’importante era capire i reciproci tragitti, le reciproche valenze, i reciproci valori primari e metterli lealmente a confronto usando le parole e non le spranghe. Era talmente evidente che a nessuno di loro passava per la testa di catturare dei ragazzini ebrei com’era accaduto il 16 ottobre 1943 a poche centinaia di metri dalla casa dove abito; era altrettanto evidente che ognuno di noi reputava i delitti novecenteschi compiuti dal comunismo reale altrettanto atroci di quelli compiuti dai nazisti. E allora? Allora accadde che una sera ci fossimo dati appuntamento in una strada romana Cacciari, Marcello Veneziani e io – spero che la memoria non mi inganni – per poi andare a cena a casa di un altro degli intellettuali della “nuova destra”, Gianfranco De Turris e dove forse c’era anche Gennaro Malgieri, ma non ne sono sicuro. 

Così come è possibile che della congrega facesse parte quella sera anche Tassani, ma a me pare di no. Ebbene ricordo che nell’andare a casa di De Turris camminavamo un po’ rasente ai muri come per non farci notare, da quanto quarant’anni e passa  fa appariva un sacrilegio che dei tipi di “sinistra” camminassero amicalmente a fianco di tipi “di destra”. Non sto esagerando, ricordo perfettamente quella mia sensazione. Né mi aspetto che qualcuno di voi mi rinfacci che quelli “di destra” sono attualmente al governo e se la spassano, altro che camminare rasente ai muri. Chi mi facesse questa osservazione non sa bene distinguere tra tipi alla Giambruno e alla Lollobrigida – pronuncio i loro nomi senza intenzione alcuna di offendere – e quei nostri interlocutori di quarant’anni fa oggi divenuti nostri amici, i Solinas, i Croppi, i Luciano Lanna, i Filippo Rossi. Leggetevi quel gioiellino firmato da questi ultimi due più di vent’anni fa, I fascisti immaginari, pubblicato a suo tempo da Vallecchi con la prefazione di Filippo Ceccarelli. Ed è bellissimo, in questo libro di Tassani, l’articolo che lui ha scritto un paio d’anni fa in occasione del sessantesimo compleanno di Lanna. Anch’io ne scrissi in quella occasione, e mi farebbe tanto piacere riavere Luciano e sua moglie a cena da me.


Così come mi ha commosso vedere nel libro di Tassani la foto di Giano Accame (morto nel 2009) mentre prende la parola (seduto accanto c’è Cacciari e dall’altro lato Tassani) in quell’incontro pubblico a Firenze che fece da manifestazione la più rilevante del dialogo tra gente di sinistra e gente di destra di cui vado dicendo. Nato a Stoccarda nel 1928 da un padre ufficiale di marina, Giano aveva scelto il 25 aprile 1945 per decidere di arruolarsi nella Marina della Rsi. Lo catturarono subito per poi lasciarlo andare. Sarebbe stato un ammiratore di Randolfo Pacciardi e più tardi del “socialismo tricolore” perorato da Bettino Craxi. Divenne negli anni un sodale di Israele. È stato un mio grande amico, quello che mi ha regalato una copia dell’edizione francese di Les Deux Étendards di Lucien Rebatet, il libro bellissimo seppure atroce in fatto di antisemitismo che in Francia era stato Jean Paulhan a voler pubblicare da Gallimard e di cui le Edizioni Sette Colori hanno fatto un loro cavallo di battaglia. 


Quanto a Tassani, il suo libro è una miniera per coloro che amano i personaggi non univoci, quelli che non se ne stanno sempre sulla stessa piastrella dell’acciottolato. Da studente di sociologia aveva studiato a Trento, da collega di università di Renato Curcio era stato un testimone delle prime manifestazioni di settarismo selvaggio nei confronti dei professori che non facevano “i piacioni” con gli studenti più effervescenti nel recitare le loro giaculatorie di sinistra. Nel suo libro sono molto interessanti le ricerche che lui ha dedicato alla stampa del Guf tra il 1938 e il 1943, alle riviste di universitari che cercavano un loro “fascismo” e che sarebbero più tardi divenuti dei protagonisti nella Repubblica antifascista. Eugenio Scalfari uno di questi, o meglio uno dei tanti. Tassani sa quello che dice quando va contro il luogo comune che nel fascismo reale vede solo abiezione e dittatura. Lo scrive benissimo: “L’Italia nel ventennio non era infine stata solo dittatura e abolizione di libertà, mobilitazione propagandistica, nazionalismo aggressivo, pregiudizio razziale: il fondo d’ordine, valoriale, conservativo delle tradizioni e delle memorie nazionali e risorgimentali non era stato scalfito, ed era anzi restato intatto alla base dell’esperimento fascista, che si concepiva in funzione di una modernizzazione e organizzazione della Nazione, da non rinnegare ma da elevare di rango”.