Uffa!
"Socialista", l'aggettivo diventato tabù in quest'Italia sempre più smemorata
Denari, uomini e un pezzo di storia del nostro paese. C’è qualcuno sotto i quarant’anni che sappia chi fossero i socialisti craxiani? Che cosa provavi ad avere di fronte a cena un comunista della stazza di Pajetta?
C’è un aggettivo, “socialista”, che è come scomparso dal linguaggio politico corrente in Italia. Allo stesso modo di altre dizioni proprie alla Prima Repubblica è stato messo a morte da Tangentopoli e dai suoi annessi e connessi. Seppure ormai remoto, ecco perché reputo un libro imperdibile quello che ha per titolo I socialisti (Editoriale Gea, 1996) e che porta la firma del mio coetaneo Ugo Intini, l’ex direttore dell’Avanti! e forse il più orgoglioso dei socialisti craxiani. A quel tempo passava difatti per uno che non perdeva occasione di affrontare polemicamente quei comunisti italiani usi a guardare i socialisti dall’alto in basso. E con tutto questo Intini racconta della volta che incontrò un Gian Carlo Pajetta che aveva trent’anni più di lui in un aeroporto, vide che si trascinava dietro una valigia piuttosto pesante e si offrì di portargliela. Al che Pajetta mormorò “Spesso esagero nelle polemiche”, e voleva dire nelle polemiche con i socialisti craxiani. Pronta la ribattuta di Intini: “Alla tua età, puoi dire quello che vuoi”. “Sì, ma ne approfitto troppo”, concluse Pajetta.
Nel leggere questo delizioso passaggio del libro di Intini m’è venuto in mente il momento, circa quarant’anni fa, in cui per motivi di lavoro ero a cena nella casa romana di Pajetta e Miriam Mafai, e Pajetta s’era come impennato in una sorta di veemente filippica antisocialista tanto che l’indimenticabile Miriam lo prese per il braccio come a placarlo. Con la storia che aveva dietro le spalle, anch’io pensavo che Pajetta potesse dire quello che voleva. Ne sto parlando adesso che di quel mondo della Prima Repubblica non esistono più né tracce né memorie condivise. C’è qualcuno sotto i quarant’anni che sappia chi fossero i socialisti craxiani, che razza di giornalista politica sia stata Miriam Mafai, che cosa provavi ad avere di fronte a cena un comunista della stazza di Pajetta? Epperò quello è stato il nostro mondo. Qualcosa di remoto mille miglia dalla odierna cronaca politica, dove il massimo di attiranza lo offre l’eventualità dello scontro televisivo tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, sia detto con grande rispetto umano per entrambe.
Torniamo alle cose serie. E dunque alla parola “denaro” che fa da titolo di un succulento capitolo del libro di Intini, il capitolo forse il più cruciale del suo libro dato che è stato il “denaro” a fungere da ghigliottina del socialismo craxiano, alias del socialismo italiano vecchio di un secolo. Il denaro, sotto forma di quelle valige piene di contanti che Silvano Larini lasciava in una stanzuccia dello studio milanese di Bettino Craxi a Piazza Duomo e la cui scoperta fu all’origine di Tangentopoli e del calvario del Psi. Finisce lì la storia del partito che aveva avuto alla sua testa Filippo Turati e Pietro Nenni. Solo che Intini è abilissimo a riscrivere la storia della politica moderna per quanto – e cioè sempre – è stata condizionata dal denaro. Ai tempi della Prima guerra mondiale è stato il denaro del governo francese a permettere a Mussolini di fondare un quotidiano e diventare così il capo dello schieramento che perorava l’intervento in guerra dell’Italia a fianco della Francia. Poco dopo fu il denaro dei tedeschi a permettere all’esule russo Vladimiro Ulianovic Lenin di rientrare in Russia in un treno sigillato, per poi scaraventare il suo gruzzolo di militanti bolscevichi contro lo zar tanto da far uscire la Russia dalla coalizione antitedesca cui aveva dato finora il sangue dei suoi fanti. Nel 1947 fu il denaro americano a permettere a Giuseppe Saragat di andarsene dal Psi frontista e creare un partito, il Psdi, che fu decisivo nello scontro elettorale del 1948 che vide soccombere il Fronte Popolare. Per tutti gli anni del secondo Dopoguerra italiano i cospicui finanziamenti in dollari dei russi furono decisivi nel permettere al Pci di impiantare in tutta Italia la sua formidabile macchina organizzativa. Ciò di cui gli americani erano perfettamente consapevoli, solo temevano che quei dollari fossero falsi e che come tali avrebbero nuociuto al tasso di cambio della loro moneta. Non che il Psi non ne avesse anche lui di quei finanziamenti russi, e purché la sua pista politica rimanesse identica a quella percorsa dal Pci. Dopo i fatti di Ungheria del 1956 e annessa condanna da parte del Psi dei carri armati sovietici entrati a Budapest, la situazione economica del partito di Nenni si fece drammatica.
Che la politica dei partiti si nutrisse di denari prelevati illegalmente, era talmente sotto gli occhi di tutti che nel 1989 il Parlamento italiano approvò all’unanimità una legge che cancellava i reati di finanziamento illegale dei partiti compiuti fino a quel momento. Nel 1974 era stato Ugo la Malfa ad ammettere che il suo partito aveva incassato delle tangenti, ma che questo non imbrattava di un nulla la sua politica reale. Quanto alla Francia, Intini cita la dichiarazione di un alto esponente del gollismo francese il quale diceva di “levarsi il cappello” innanzi ai tanti suoi colleghi che avevano incassato tangenti non per uso personale e bensì per fare vivere e sopravvivere il suo gruppo politico.
Il libro di Intini uscì nel 1996, quando erano ancora caldi i cadaveri della Prima Repubblica e dei partiti che ne erano stati protagonisti. Alle elezioni politiche del 1994 era entrato in campo Silvio Berlusconi, che aveva capeggiato quel Polo delle libertà cui arrise una maggioranza netta tanto alla Camera dei deputati quanto al Senato. Il Partito socialista, guidato dall’ex sindacalista Ottaviano Del Turco, faceva parte della coalizione avversa, entro alla quale raggiunse un miserrimo 2,19 per cento. In campagna elettorale Del Turco mancava poco che si vergognasse del suo predecessore alla guida del Psi. Peccato, perché eravamo stati amici e io quel suo atteggiamento non gliel’ho mai più perdonato.