(foto Olycom)

Uffa!

Libri che raccontano libri. La storia del processo ai "Fleurs du Mal"

Giampiero Mughini

"Il male dei fiori. Baudelaire a processo". Un testo per riscoprire l'originale censura al capolavoro del poeta francese

Ci sono libri che hanno avuto un destino straziante quanto e più di una vita umana. E’ il caso de Les Fleurs du Mal dell’allora trentaseienne Charles Baudelaire, la cui prima edizione parigina del giugno 1857 in 1300 copie fa da pietra miliare nella storia della poesia moderna nel senso che dopo un tale libro non poteva non cambiare radicalmente il modo di scrivere e connettere assieme dei versi. (La prima traduzione italiana risale al 1893). Né un tale libro, in cui l’autore aveva spudoratamente scaraventato tutti i suoi piaceri del vivere e tutte le sue sofferenze dell’esser vivo, poteva farla franca agli occhi dei tribunali correnti dell’epoca. Da quanto vi era sconvolgente il modo in cui quei versi raffigurano la vita reale di un borghese raffinato, e dunque raccontano il reame del desiderio erotico, dell’accensione dei sensi, dei corpi che si attraggono e si congiungono, corpi di uomini mentre hanno a che fare con donne, o talvolta di donne con altre donne.

E difatti una splendida poesia dal titolo “Lesbos” ha come protagonista (additata dal titolo) una donna i cui baci “Font l’ornement des nuits et de jours glorieux”, ed è la poesia che assieme ad altre cinque del libro viene presa a bersaglio dai giudici di un tribunale parigino i quali nel luglio 1857 sentenziano che quel libro va tolto dalla circolazione, che sarà riammesso in libreria solo dopo che ne verranno espunti i versi arroventati delle sei poesie di cui ho detto. Vale a dire “Les bijoux” di pagina 64, “Le Lethé” di pagina 73, “À celle qui est trop gaie” di pagina 91, “Lesbos” di pagina 187, “Femmes Damnées” di pagina 191 e 196, “Les Métamorphoses du Vampire” di pagina 206. Ve ne sto dando accuratamente titoli e disposizione nelle pagine della prima edizione del libro affinché quelle poesie tra le più belle della raccolta voi possiate subito andare a cercarvele nell’edizione francese o italiana del libro che sta nella vostra biblioteca. Escludo difatti che uno solo dei miei dieci/quindici lettori quel libro non lo tenga sugli scaffali della sua libreria.
E’ una storia che ha fatto diventare leggenda quella prima edizione, di cui esistono un paio di centinaia di copie che avevano continuato a circolare e in cui le pagine con quelle sei poesie erano state bell’e tagliate dall’editore parigino Poulet-Malassis, e laddove sono divenute preziosissime le copie che si sono salvate integre nella loro versione originaria. E’ una storia che valeva la pena raccontare in dettaglio, e con questo suo recente Il male dei fiori. Baudelaire a processo (Rubbettino Editore, 2023) lo ha fatto Antonio Castronuovo, un elegante bibliofilo (nato nel 1954) che ama andar dietro alle peripezie dei libri di gran qualità.

C’era anche lui, e addirittura con tre diversi scritti, in quel numero speciale dedicato a Baudelaire nel 2017 dalla rivista che promana dalla Biblioteca di via Senato, il covo bibliomane milanese giostrato da Marcello Dell’Utri. Dov’era scritto che una copia della fatidica prima edizione de Les Fleurs du Mal c’è nel loro archivio/collezione. Risale invece al 2006 il catalogo antiquario che la libreria milanese Pontremoli aveva dedicato a Baudelaire, e dov’erano offerte tanto la prima edizione de Le Fleurs du Mal quanto la seconda del 1861, quella in 1500 copie in cui le sei poesie incriminate non c’erano e ce n’erano però ben 35 nuove. Quelle due copie a suo tempo le avevo comprate io. Di avere nella sua prima edizione quel libro che avevo imparato a conoscere e letto da laureando in Lingua e letteratura francese, spasimavo da trent’anni.
Di quello stramaledetto processo del 1857 Castronuovo racconta tutti i particolari e tutti i personaggi. A cominciare dal quarantacinquenne magistrato che ebbe il ruolo di pubblico accusatore, Pierre Ernest Pinard, uno cui toccò il triste primato (pur non essendo un censore particolarmente truce) di prendersela nello stesso lasso di tempo con ben tre protagonisti della letteratura francese che era allora la più risonante al mondo, e dunque con Gustave Flaubert e Eugène Sue oltre che con Baudelaire. Prima di guerreggiare contro quest’ultimo Pinard aveva puntato il dito nientemeno che contro la Madame Bovary di Flaubert, ossia contro il racconto (pubblicato originariamente in sei puntate nel 1856 su una rivista francese) che nella storia del romanzo moderno ha lo stesso eccezionale risalto del libro di Baudelaire nella storia della poesia. Solo che quella volta Pinard aveva perso. Il 7 febbraio 1857 una sentenza assolveva dall’accusa di oscenità Madame Bovary e il suo autore, che in aula  erano stati brillantemente difesi dall’avvocato Antoine Sénard. Pubblicato in libro nell’aprile dello stesso anno, il romanzo ebbe da quel processo un’impagabile pubblicità, tanto che le 6750 copie della prima edizione andarono esaurite in un battibaleno.

Una buona parte dei versi de Les Fleurs du Mal erano stati anch’essi pubblicati per la prima volta su varie riviste di cultura, senza però che qualcuno se ne adontasse particolarmente. All’uscita del volume invece il tribunale addetto alla morale pubblica sguainò le armi. Il magistrato che nella scala gerarchica stava immediatamente sopra Pinard, dopo che questi era stato sconfitto da Flaubert, gli chiese se volesse essere sostituito. Lui rispose che no, che ci teneva a battersi nuovamente contro le insidie del Male quando si fa letteratura. E questa volta vinse. L’aspetto più doloroso della sentenza fu per Baudelaire la condanna a una penale equivalente a 2700 euro odierni, che non erano pochi per uno come lui abituato a spendere in abiti e droghe e altri piaceri della vita più di quel che aveva. Un ictus sopravvenne poco più tardi a mutilarlo di quei “paradis artificiels”. Morì a 46 anni nel 1867. La condanna del suo immane capolavoro venne annullata soltanto nel 1949.

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