Uffa!
“Andare per i luoghi dell'editoria”. Tutta la storia del libro, in Italia
Incontri di persone e nascita di capolavori. Roberto Cicala, docente di editoria libraria e multimediale, ci conduce per mano a visitare redazioni, aule e bar dove protagonista fu la carta
Con l’avvento dei libri digitali e delle vendite online sempre più su larga scala è come se la divina fisicità dei libri – delle loro copertine, delle loro legature, della qualità della loro carta, di quei titoli che si avventano contro i tuoi occhi – avesse fatto un passo indietro nella nostra coscienza diffusa. I libri restano libri beninteso, da toccare e da assaporare tattilmente, ma è come se andasse via via nascondendosi la ragnatela di luoghi fisici sottostanti la loro storia editoriale. Le librerie innanzitutto, e lo dice uno che prova un senso di colpa nel non frequentarle come un tempo, ma gli stessi e imponenti edifici che hanno fatto da fortezze editoriali della nostra storia culturale nonché i caffè dove un tempo facevano mucchio a Torino o a Firenze gli scrittori che stavano cercando un loro destino. Chi meglio di Roberto Cicala, docente di editoria libraria e multimediale all’Università Cattolica ma sopratutto uno che respira da mane a sera l’aria che promana dai libri e dalle riviste di carta, poteva condurci per mano a visitare redazioni, aule di case editrici, bar dove si erano incontrati persone che amavano i libri e da quegli incontri nacquero dei capolavori?
Lo ha fatto con questo suo recentissimo "Andare per i luoghi dell’editoria" (Il Mulino, 2024), dov’è affascinante la mappa di luoghi e personaggi di cui stavamo dicendo e che lui va esplorando passo passo. Ora ti trovi nell’ufficio milanese della Feltrinelli dove negli anni Sessanta Gian Giacomo Feltrinelli cova i bigliettini in codice con cui lui comunica con Boris Pasternàk a far uscire dalla Russia il manoscritto de ll dottor Zivago e pubblicarlo in anteprima mondiale nel 1957. Ora ti trovi in uno dei tanti uffici editoriali dove l’ex soldato italiano reduce dalla sciagurata campagna in Urss Giulio Bedeschi cercava di convincerli ad accettare di pubblicare il suo romanzo Centomila gavette di ghiaccio e quelli continuavano a ripetere no e no, e finché nel 1963 lo pubblicherà l’editore milanese Mursia che ne venderà via via quattro milioni di copie. Ora ti trovi nella redazione milanese del nascente settimanale Oggi dove Angelo Rizzoli sta per affidare a un ancor sconosciuto Edilio Rusconi la direzione del settimanale con l’avvertenza che il suo stipendio di base sarà basso laddove verranno premiati benissimo gli incrementi di vendite, accordo che farà di Rusconi un uomo talmente ricco al punto da diventare editore in proprio. Ora ti trovi a tarda sera negli uffici del monumentale Palazzone che fa da sede editoriale della Rizzoli, e dov’è restato un signore anziano che vagola per stanze e corridoi ad accertarsi che non c’è alcuna luce rimasta accesa inutilmente e che lui immancabilmente spegnerà, ed è il ricchissimo (era nato poverissimo) Angelo Rizzoli, il fondatore della omonima casa editrice.
Sempre per rimanere in casa Rizzoli è sugoso il modo in cui Cicala racconta l’avvento di una collana editoriale che ha cambiato la vita a noi ventenni degli anni sessanta, e questo perché contro la spesa rispettivamente di 50, 120, 180 lire (a seconda del numero di pagine del libro da acquistare) ci permise di attingere al meglio della letteratura di tutti i tempi e per giunta in edizioni curate e ben tradotte. Era la Biblioteca Universale Rizzoli, meglio conosciuta con l’acronimo Bur. L’inventore della collana ne era stato Luigi Rusca (nato a Milano nel 1894), un geniale uomo di editoria che aveva debuttato in Mondadori e che nel 1946 passò alla Rizzoli con la carica di direttore editoriale. Nel 1949 lui e Paolo Lecaldano convinsero un recalcitrante Rizzoli a dar vita a una collana all’apparenza umile, brossurine in formato piccolo (cm. 10,5 di base per cm. 15,7) sul modello di una analoga collana editoriale tedesca. I testi interni sono in Times corpo 8, le copertine prive di illustrazioni sono tutte di un unico colore tra il bianco e grigio, i costi editoriali sono irrisori innanzitutto perché la più parte dei volumi sono dei classici su cui non grava più alcun diritto d’autore.
E’ così che nelle nostre stanzucce di studenti liceali entrarono per la prima volta e ci rimasero i testi di Cechov, Stendhal, Maupassant e tanti altri. Quella saga editoriale divenuta leggendaria Cicala la racconta così: “Nelle prime riunioni in piazza Carlo Erba, ricorda un collaboratore come Oreste Del Buono, Rizzoli si faceva raccontare le trame facendo confusione con i nomi […] Comunque non si immagina un tale riscontro di vendite e un giorno, incontrando in corridoio Rusca, lo chiama alzando la voce: ‘Lei mi ha imbrogliato’. Ma tutti i redattori e gli impiegati che ascoltano incuriositi e preoccupati sono tranquillizzati dalla battuta successiva: ‘Non mi aveva detto che con questi libri avrei fatto così tanti soldi’”. Alcuni volumi di quella collana (toccò gli 800 volumi, il bibliofilo mio amico Oliviero Diliberto ne ha la collezione completa) superano difatti le 30 mila copie vendute, e tutto questo finché Mondadori non contrattacca con una altrettanto leggendaria collana di libri tascabili, gli Oscar Mondadori così fortemente voluti da Alberto Mondadori e Vittorio Sereni.
Ci sono le storie editoriali e ci sono i “casi” editoriali, ossia quei libri di cui è controverso se andassero pubblicati o no. E’ il caso di quell’edizione Bompiani datata 1934 del Mein Kampf di Adolf Hitler (peraltro tradotto da un ebreo italiano) pubblicata cinque anni dopo che il raffinato editore nato ad Ascoli Piceno nel 1898 s’era messo in proprio in un ufficetto milanese di via Durini. A volere a tutti i costi la pubblicazione del libro in Italia era stato Benito Mussolini. Per tutta la vita Bompiani visse come un’onta il fatto che quel libro portasse il suo marchio editoriale. La mia opinione è difforme dalla sua. Tutti i libri vanno pubblicati e letti, a scoprire di quale feccia sono eventualmente tessuti.