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uffa!

No caro Vasco, quelli di oggi non sono i nazi che imprigionarono tuo padre

Giampiero Mughini

Verità storiche e paragoni forzati. In Italia non ci sono state due razze, fascisti e antifascisti, contrapposte dalla a alla zeta. C’è stato un intrigo il più folto di atteggiamenti, di culture politiche, di parentele, di fanatismi

In un articolo apparso sulla Repubblica della scorsa settimana, Valeria Rusconi sottolineava le parole che Vasco Rossi ha scritto in questi giorni come rivolgendole al padre (morto a 56 anni). Il quale nel 1943 da soldato italiano che non ne voleva sapere di continuare a combattere dalla parte di Hitler, era stato fatto prigioniero dai tedeschi e tenuto per due anni in un campo di lavori forzati.

Nell’usare come punto di riferimento quello che sta accadendo oggi nella politica italiana, Rossi figlio si è rivolto al padre e alla sua memoria così: “Non ci crederai, papà, ma sono tornati, lupi travestiti da agnelli. Bulli, arroganti, la loro propaganda e la stessa ignoranza”. E dunque, stando al significato delle parole se le parole hanno un significato, Arianna Meloni, Italo Bocchino, Ignazio La Russa, Gennaro Sangiuliano, fors’anche e almeno un po’ il ministro Alessandro Giuli, quel Luciano Lanna che la Meloni ha nominato direttore del Centro del libro e che ha appena pubblicato un cospicuo volume dedicato a una figura chiave della cultura italiana del Novecento quale Augusto Del Noce, ebbene tutti costoro sono il corrispondente puntuale dei guardiani dei campi di concentramento nazi ove Rossi padre passò due anni della sua giovinezza, se non addirittura il corrispondente dei manganellatori alla maniera di quelli che acciuffarono e uccisero Giacomo Matteotti. A un tempo in cui ben oltre trecento furono gli italiani uccisi strada per strada per mano dei fascisti e poco meno di trecento i fascisti uccisi per mano degli antifascisti che le mani non se le tenevano in tasca quando c’era da far fronte a dei nemici politici.

Da come ragiona il Vasco Rossi di oggi sembrerebbe che in Italia le razze siano state due e ben distinte per vent’anni del Novecento. Due razze antropologicamente e culturalmente diversissime, famiglia per famiglia. Lì dove c’era l’ombra del fascismo e dei fascisti, lì non c’era il benché sintomo dell’antifascismo e degli antifascisti in carne e ossa.

Io credo invece che molte famiglie italiane fossero più intricate, somigliassero alla mia famiglia materna. Dove mio padre sposò in camicia nera mia madre nel 1940 e dove portava la stessa data la tessera di iscrizione al Partito comunista italiano di mio nonno Pietro, tessera che lui continuò a pagare fino al 1966, l’anno della sua morte. Per non dire di alcuni anni dopo, quando io di anni ne avevo poco più di venti e non avevo i soldi di che continuare a pagare la rivista catanese di estrema sinistra che avevo fondato poco prima, e a quel punto sopravvenne mio padre a pagare i conti della tipografia e beninteso senza chiedermi di mutare in nulla la fisionomia della rivista. In Italia non ci sono state due razze contrapposte dalla a alla zeta, c’è stato un intrigo il più folto di atteggiamenti, di culture politiche, di parentele, di fanatismi. Mio padre teneva dietro la scrivania del suo tavolo da lavoro una foto di Mussolini giovane, mio nonno teneva i ritratti di Stalin e di Gramsci. Mio padre e mio nonno si rispettavano.

Per l’appunto, prima di essere delle fazioni noi italiani eravamo e siamo stati delle famiglie, ciascuna ben  corazzata rispetto alle altre. E viene da ridere – o meglio da piangere – al pensiero che in molti vorrebbero riprodurre pari pari quelle topografie di un secolo fa e usare oggi come randelli le parole d’ordine e gli umori in voga un secolo fa, quando le prime pagine dei giornali erano occupate dalle foto di un Lenin che minacciava il finimondo e non da quelle di Maria Rosaria Boccia, sia detto con tutto il rispetto che merita una donna.

E del resto i fatti parlano chiaro per chi li conosca. Il fascismo italiano non venne abbattuto dagli antifascisti italiani. Come ha scritto Antonio Scurati in questo suo quarto volume della biografia di Mussolini, nella sala dove alla notte del 25 luglio 1943 si stava svolgendo il Gran Consiglio del fascismo che tolse i poteri a Mussolini non c’era nemmeno l’ombra di un antifascista. Nemmeno l’ombra. C’era il fior fiore della prima generazione fascistissima divenuta più tardi consapevole che l’Italia stava sul ciglio di un burrone, ma soprattutto c’era l’eco delle bombe alleate che avevano cominciato a sfrantumare Roma dopo aver picchiato dappertutto su un’Italia pressoché indifesa da un’antiaerea di cui era sprovvista e da un’aviazione di combattimento di cui  disponeva in dosi minime. E per fortuna che sia andata così, che Roma non sia stata difesa mattone per mattone come Berlino o come Stalingrado e ne sia stato dunque cancellato uno squarcio della storia del mondo e che squarcio.

Rossi padre sarà certamente orgoglioso delle parole che ha voluto rivolgergli il figlio. Solo che quel che accadde nell’Italia e nell’Europa di metà Novecento non ha nulla ma proprio nulla a che vedere con quel che stiamo vivendo noi oggi. Né ci aiuta benché minimamente a districarci da questo gran casino, a connotare il quale servono a niente le parole e i parametri politici in auge al tempo in cui Rossi padre visse la sua tragedia.

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