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“Contro-corrente”, Cicchitto racconta 80 anni di storia italiana

Giampiero Mughini

Solo degli imbecilli potevano pensare che soldi e politica durante la Prima Repubblica non andassero a braccetto. Ed era coinvolto anche il meglio della nostra classe politica, quella che se seppe ricostruire dalle fondamenta l'Italia lacerata dalla guerra civile 

Nato nel 1940, Fabrizio Cicchitto è immerso anima e corpo nella politica italiana da quando aveva vent’anni e dunque da non molto meno di un secolo. Chi altri meglio di lui avrebbe potuto comporre questo libro, Contro-corrente (Baldini +Castoldi 2024), che passa al setaccio gli uomini e i fatti degli ultimi 80 anni di storia politica italiana vedendoli da vicino, quasi giorno per giorno. Da uno che è stato più e più volte parlamentare prima socialista poi berlusconiano, che ha vissuto in prima fila l’ascesa e successivamente la sconfitta del Psi craxiano, che ha duellato ininterrottamente con il partito comunista e con i suoi intellettuali, che s’era anche iscritto alla P2 in un momento in cui la P2 sovrastava la politica italiana e le conferiva la sua particolare ferocia. Conosco Fabrizio da oltre cinquant’anni. 

 

Lo incontrai per la prima volta a un raduno romano che metteva in campo il meglio della generazione italiana che si stava affacciando sulla politica militante della sinistra. A quel raduno il giovane Achille Occhetto rappresentava il Pci, Cicchitto il Psi, un raffinatissimo intellettuale quale Gian Mario Cazzaniga il Psiup, il partitino che si era appena scisso da sinistra dal Partito socialista. Per me che venivo dalla provincia (siciliana) era come entrare in un tempio. E comunque non so quanti di noi si riconoscerebbero nel se stesso di allora. Non credo in tanti, siamo cambiati tutti o quasi.

 

La gran questione all’ordine del giorno in quel momento era se Psi e Pci dovessero accedere alla prospettiva del centrosinistra, e dunque di parziali accordi con la Dc dopo anni di scontro frontale tra questa e i due partiti di sinistra. La buona parte del Pci diceva un no secco al centrosinistra, la buona parte del Psi era più per il sì che per il no. A quell’incontro romano di ventenni che ardevano in fatto di cambiamenti, i favorevoli al centrosinistra erano davvero pochi. Erano ancora lontani i tempi in cui un socialista milanese orgogliosissimo di sé, Craxi per l’appunto, avrebbe sconvolto la scacchiera politica italiana. 

 

Decenni e decenni fa. Nel frattempo l’Italia è mutata dalla a alla z, quella che eravamo usi chiamare Prima Repubblica è morta e sepolta, non uno dei partiti che caratterizzarono il trentennio successivo alla fine della Seconda guerra mondiale esiste ancora e fa da protagonista, la classe politica oggi in azione è antropologicamente distante da uomini che avevano le storie di Palmiro Togliatti, Giulio Andreotti, Ugo La Malfa, Pietro Nenni. In realtà il primo uomo nuovo politico italiano del dopoguerra è stato proprio Craxi. La messa a morte del suo Psi e il suo conseguente esilio hanno cambiato la storia della politica italiana. Senza dire dell’entrata in politica di un imprenditore principe come Silvio Berlusconi con tutte le conseguenze del caso, o della nascita di partiti completamente inediti quali la Lega e i 5 stelle (che in un’occasione hanno toccato il 32 per cento dei consensi elettorali). Raccontate benissimo da Cicchitto sono cose che sapete e che vi avviliscono a sufficienza.

 

Senza dimenticare che in nessun altro paese d’Europa s’è compiuta una guerra all’ultimo sangue fra la classe politica in auge e la magistratura d’accusa. Le abbiamo viste tutti le immagini televisive di quell’aula di tribunale dove dirigenti politici di alto livello se ne stavano come impietriti innanzi a un pubblico ministero che li stava trattando come fossero delinquenti di diritto comune. (Con un’eccezione. Quell’interrogatorio durante il quale il magistrato Antonio Di Pietro trattava con il dovuto riguardo il Bettino Craxi che gli stava seduto di fronte e che non aveva l’aria di arretrare di un centimetro innanzi alle contestazioni del magistrato). Era come se il timone del comando nel nostro paese fosse allora nelle mani dei pubblici ministeri, di chi aveva in mano le carte d’accusa e poteva giostrarle a suo piacimento e tanto più che i titoli delle prime pagine dei giornali più importanti all’indomani avrebbero rincarato la dose. Laddove nessuno fino a quel momento aveva parlato di quell’oceano di denaro su cui si reggevano i partiti della Prima Repubblica, a cominciare da un Partito comunista foraggiato alla grande dall’Urss e che con questi denari poteva alterare il restante del quadro politico italiano. Primo su tutti far nascere quel Psiup che spezzò il Psi riformista asportadone a forza di soldi versati dall’Urss una quota rilevante. 

 

Solo degli imbecilli potevano pensare che soldi e politica durante la Prima Repubblica non andassero a braccetto. Cicchitto lo scrive ed è uno che tutto questo lo aveva vissuto da dentro: qualora i magistrati e i giornalisti dell’epoca avessero seguito le stesse metodologie del pool di Mani pulite e dai direttori di giornali importanti che le diedero corda, uomini politici italiani di primo piano degli anni Cinquanta e Sessanta avrebbero patito la stessa sorte di Bettino Craxi. Sì, quasi tutti e di ogni sponda politica, da Ugo La Malfa a Pietro Secchia ad Amintore Fanfani. Ed erano il meglio della nostra classe politica, quelli che seppero ricostruire dalle fondamenta l’Italia che era stata lacerata dalla guerra civile.