Rogo dei libri all'Opernplatz di Berlino nel 1933 durante la campagna "contro lo spirito antitedesco" (Foto di Imagno/Getty Images) 

Uffa!

Nessun libro va proibito, neanche il "Mein Kampf"

Giampiero Mughini

Leggere tutto è l’unico modo per capire dove può arrivare la bestialità umana. Sbaglia chi a tutt’oggi continua a rifiutarsi peranco di sfogliarlo da quanto gli appare moralmente e politicamente indecente

Eravamo non più di venti o trenta in un recente dibattito che si stava svolgendo in un’aula romana e che aveva per tema il leggere e collezionare libri. A un certo punto un giovane mi si rivolse chiedendomi se ci sono libri che uno non deve leggere, libri che a leggerli te ne verrebbe una sorta di infezione intellettuale e morale. Gli risposi che qualsiasi libro va letto, nel senso che c’è sempre un motivo per leggerlo. E subito mi venne in bocca il titolo di un libro del Novecento stramaledetto per eccellenza, il Mein Kampf di Adolf Hitler. Sbagliarono a non leggerlo quelli del suo tempo, i politici che avrebbero capito meglio e subito con chi avevano a che fare e che invece ancora alla Conferenza di Monaco del 1938 insistettero allo spasimo nel tentare di convincere Hitler a fare il bravo ragazzo, un’impresa fuori dal possibile. Sbaglia chi a tutt’oggi continua a rifiutarsi peranco di sfogliarlo da quanto gli appare moralmente e politicamente indecente.

 

Lo è senz’altro, ma se non lo leggi non capisci come sono andate esattamente le cose fino a tutta la Seconda guerra mondiale e perché sono andate a quel modo spaventoso, non capisci com’è che il figlio di una delle più grandi nazioni europee si iscrivesse a un partitino i cui aderenti in quel momento erano sette e che nello spazio di pochi anni divennero una forza politico-militare che stravolse l’Europa. Eccome se quel libro va letto, ho risposto a quel ragazzo che me lo aveva chiesto. E nel rispondergli pensavo a quella massa di imbecilli che una decina d’anni fa colmarono di insulti tanto il direttore quanto la società editoriale (Berlusconi) del Giornale, che una decina d’anni fa il libro di Hitler lo avevano accluso gratuitamente a una copia del quotidiano. Temevano forse quegli imbecilli che gli acquirenti del libro avrebbero fondato a loro volta in quattro e quattr’otto un partito similare al partito nazista degli anni Trenta?

 

Nella sua immane versione originaria (vicina alle mille pagine, divise in due volumi) Hitler il libro lo aveva dettato a un suo compagno di cella, Rudolf Hess, uno che come lui era stato condannato per avere tentato un putsch a Monaco nel novembre 1923. Nato nel 1889, Hess era di cinque anni più grande di Hitler. Di cui nel 1925 Hess divenne il segretario e quello che ne avrebbe preso il posto ove lui fosse morto. In prima edizione tedesca il libro uscì nel 1925, e non è che in prima battuta suscitasse chissà quali reazioni. Ci voleva un uomo in carne e ossa, la sua oratoria, la sua patologica insistenza antisemita per accendere l’umore di un paese che era stato sconfitto nella Prima guerra mondiale e successivamente avvilito dalle feroci condizioni che gli stavano imponendo i vincitori. Un paese al quale Hitler si rivolgeva senza smettere un istante di ripetere che loro, i tedeschi, erano una razza superiore i cui avversari mortali erano gli ebrei e i “marxisti” e che con questi bisognava fare i conti, ossia farli sparire dalla faccia della terra. Ne consegue – scrive Hitler – che non ci sarebbe più pace fra i popoli a meno di non assecondare il punto di vista che vanno “mendicando” e di cui vanno “piagnucolando” tanti “ciechi pacifisti”? Ma no, scrive ancora, una pace è possibile e durevole se “fondata dalla vittoriosa spada di un popolo di dominatori che s’impadronisce del mondo per servire a una superiore civiltà”. Più chiaro di così. Dei “dominatori” che fin da ragazzi prestassero attenzione alla loro forma fisica, alla loro “perfezione corporea” sì da porre fine allo scandalo delle “centinaia di migliaia” di ragazze tedesche che si lasciavano sedurre da “ripugnanti bastardi ebrei dalle gambe storte”.

 

A leggerle oggi sembrano bestialità senza capo né coda; a quelli che sempre più numerosi se ne stavano ad ascoltare le tirate di Hitler parvero affermazioni  che covavano il riscatto di un popolo. A quei suoi comizi che a tutta prima avevano attirato sette persone, addivennero migliaia e poi milioni e poi decine di milioni pronti a tutto, e tanto più che dietro avevano la potenza industriale tedesca, il fatto che in nessun altro paese venissero prodotti altrettanti carri armati e aerei da combattimento. E che ne era, stando alle pagine del Mein Kampf e alle tirate oratorie del Führer, dei partiti tradizionali, dei partiti “borghesi” che pure avevano fatto la storia dell’Europa e dunque della Germania? Chi aveva comprato il libro leggeva pagine come queste: “Poiché, per tutti i cosiddetti partiti borghesi la lotta politica consiste solo nell’azzuffarsi per conquistare seggi in Parlamento, e i princìpi e gli orientamenti vengono abbandonati a seconda dell’opportunità. Lo stesso valore hanno, s’intende, i loro programmi, e nello stesso senso sono valutate le loro forze. Manca loro quella grande attrazione magnetica a cui la grande massa obbedisce solo sotto l’impressione di grandi ed eminenti punti di vista, sotto la forza persuasiva di un’assoluta fede nella bontà di questi punti di vista accoppiati alla fanatica volontà di battersi per essi”. Una grande “attrazione magnetica”, una strenua volontà di battersi “fanaticamente”. Il nazismo.

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