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Uffa!

Nessuno al mondo quanto l'Ucraina ha patito la violenza di cui è capace l'essere umano

Giampiero Mughini

Lo scrittore ucraino ebreo Vasilij Grossman si è trovato davanti a distese di morte e macabre torri fatte di uomini straziati. I tedeschi avevano ucciso chi aveva la colpa di essere ebreo, e probabilmente ritenevano che questo fosse il loro capolavoro

E’ più semplice inorridire innanzi a scene di violenza e di morte che hanno per oggetto un’unica vittima, che non innanzi a caterve di morti senza nome e senza numero, ad ammassi di cadaveri che la violenza politica ha reso in un certo modo tutti uguali. E’ facile provare pietas innanzi a una vittima circoscritta e determinata di cui lo sai perché è stata colpita a quel modo, un modo che in ogni caso non ne ha cancellato il volto e la fisionomia generale. Se invece i cadaveri nei quali ti imbatti sono vere e proprie pile, macabre torri fatte di uomini straziati, il risultato di una violenza talmente indiscriminata e sproporzionata, allora è persino difficile accedere all’entità di quella montagna di morte, a chi esattamente riferire il tuo umano sconcerto.

Deve essere stato questo lo stato d’animo che mosse lo scrittore ucraino ebreo Vasilij Grossman nello scrivere nel 1943 un lungo articolo dal titolo Ucraina senza ebrei (ripubblicato in Italia, Microgrammi 22), che pure il giornale russo cui collaborava allora non volle pubblicare e che venne pubblicato in Urss molto più tardi. Da corrispondente di quel giornale Grossman era andato per ogni dove lungo l’Ucraina su cui si erano avventate a partire dal giugno 1942 le armate nazi, ed era un’Ucraina in cui vivevano oltre quattro milioni di ebrei. Grossman aveva visto tutto, e dunque non solo l’orrore di una sola vittima determinata e circoscritta. S’era trovato innanzi a un massacro di cui forse non c’è stato eguale nella nella storia del mondo. Bersaglio di un tale orrore erano stati gli ebrei in quanto tali. Cadaveri a mucchi, città spianate, villaggi abitati essenzialmente da ebrei dove non c’era più una casa che ospitasse un essere vivente, case che bruciavano assieme a coloro che le avevano abitate, donne trafitte dalla mitraglia assieme ai bambini neonati che tenevano in braccio. Come può reagire un essere umano alla vista del fossato di Babij Jar, alla periferia di Kyiv, dov’erano accatastati i cadaveri di oltre 333 mila ebrei? Uomini donne e bambini che erano stati messi in fila sulla soglia del burrone prima che li mitragliassero

In quanto ebrei i tedeschi  li avevano uccisi tutti. Non avevano ucciso soldati che li stessero combattendo frontalmente, uomini a loro volta armati e istruiti alla guerra. Quelli erano riusciti ad arruolarsi nell’Armata rossa e ribattevano colpo su colpo con i loro mortai e i loro aerei da combattimento e i loro fucilieri scelti. No, la Gestapo e le altre compagnie tedesche specializzate in omicidi avevano ucciso bambini, donne, anziani, malati che a stento arrivavano ad alzarsi dal letto, un vecchio dottore che aveva passato la vita ad assistere chi ne aveva bisogno ma di cui era inestinguibile la colpa di essere ebreo. Grossman lo scrive impareggiabilmente: “Nei territori occupati i tedeschi uccidono e puniscono per qualunque misfatto: perché si ha in casa un coltello o una vecchia pistola, perché a un passante scappa di bocca un commento sdegnato, perché qualcuno prova a spegnere le fiamme della sua casa mentre un soldato con la torcia le dà fuoco, perché un giovane si rifiuta di venire deportato lasciando i vecchi genitori, per un sorso d’acqua offerto a un partigiano, per il saluto mancato a un ufficiale per strada”. Chi aveva assistito a quelle scene di follia e di orrore, scrive Grossman, non le dimenticava più per tutta la sua vita

Non che i tedeschi non avessero ucciso e massacrato anche negli altri paesi dove gli stivali dei loro soldati erano entrati vittoriosi. Avevano ucciso in Francia, in Danimarca, in Serbia, in Cecoslovacchia. Ma lì avevano ucciso innanzitutto chi avesse violato norme e leggi fasciste, che per quanto putride sempre leggi erano: cioè valide per tutti. In Ucraina avevano ucciso chi aveva la colpa nuda e cruda di essere ebreo, e probabilmente ritenevano che questo fosse il loro capolavoro, il vertice cui potevano arrivare le loro idealità.

Da questo punto di vista non c’è un altro squarcio del mondo che abbia patito quanto l’Ucraina il potenziale di violenza di cui è capace l’uomo. Si trattasse di Giuseppe Stalin, la cui politica agricola mandò in pezzi l’agricoltura ucraina degli anni Trenta, oppure dell’Adolf Hitler di cui ho appena vantato le gesta, oppure del Vladimir Putin che persino ai carcerati russi ha fatto indossare la divisa da soldati che portassero la morte sulle distese delle pianure ucraine.   

 

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