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Uffa!

Niente più delle ideologie novecentesche ha alimentato la violenza politica

Giampiero Mughini

Negli anni che vanno dall'armistizio al primo Dopoguerra il sangue italiano fu versato abbondantemente, da entrambe le parti. Fu una vera e propria guerra civile, definizione sdoganata per la prima volta da Claudio Pavone nel 1991. Via Rasella è ancora una ferita aperta

Ho visto su La7 la bellissima puntata dedicata all’agguato di via Rasella e alla conseguente rappresaglia tedesca alle Fosse Ardeatine. Era una puntata della serie “Una giornata paticolare” governata a meraviglia da Aldo Cazzullo. La puntata finisce, e ne vieni trafitto emotivamente, con il primo piano di una serie di personaggi televisivi che pronunziano ciascuno i nomi (e i mestieri) dei 335 martiri che alle Ardeatine i tedeschi uccisero con un colpo alla testa. Dopo averli trascinati cinque alla volta nei fossati. Il massacro cominciò nel primo pomeriggio e finì poco prima delle otto di sera. Ossessionato come sono da quell’episodio della storia italiana novecentesca, ho sempre pensato a quelli tra i 335 trucidandi che vennero uccisi per ultimi, a quelli che aspettarono ore e ore il momento in cui la loro vita sarebbe finita e magari sentivano nel frattempo i colpi di rivoltella provenienti da giù in basso. Lancinante. Hitler aveva chiesto inizialmente che venissero uccisi cinquanta italiani per ciascun soldato tedesco caduto in via Rasella. I suoi ufficiali lo convinsero che un massacro  di tali proporzioni era controproducente e ridussero il rapporto a dieci contro uno. Sbagliarono per eccesso e ne fucilarono cinque in più, 335 anziché i 330 che sarebbero risultati dal calcolo dieci contro ognuno dei 33 soldati tedeschi annientati dalla bomba di via Rasella. (Nell’altro e magnifico documentario  dedicato al processo contro Erich Priebke è detto che il tenente delle SS Priebke s’era accorto dello sbaglio in eccesso ma lasciò andare). 


L’ho detto, è un episodio che mi ossessiona. Quando ero appena venuto a Roma, nei primissimi anni Settanta, mio padre mi condusse una sera a cena da un suo cliente romano, un personaggio molto noto nel suo campo. Non so come nacque la discussione su via Rasella e lui insisteva che i tedeschi avessero chiesto che gli autori dell’agguato si presentassero, al che loro avrebbero rinunciato alla rappresaglia. Il cliente di mio padre insisteva furiosamente su questo, al che io replicavo che quella richiesta i tedeschi non l’avevano mai fatta. Al processo contro i responsabili del massacro delle Ardeatine, quando chiesero di questo ad Albert Kesselring, il comandante delle truppe tedesche stazionate in Italia dopo che l’Italia s’era tratta via dalla guerra firmando l’armistizio, Kesselring rispose che sarebbe stata una buona idea quella di chiedere ai partigiani autori dell’agguato di presentarsi, ma che loro quella idea non l’avevano avuta. E meno male, perché i partigiani comunisti non si sarebbero presentati, convinti com’erano che la loro fosse una legittima azione di guerra. Sono stato amico di Rosario Bentivegna, il partigiano che mise la bomba di via Rasella. Mille volte ne abbiamo discusso. Né va dimenticato che il cimitero israelitico di Roma s’è rifiutato di ospitare i resti di Bentivegna e della moglie (anche lei gappista) Carla Capponi dopo la loro morte. 


A occuparmi di queste tragedie è sorta in me una domanda. Se guerra c’è quando la violenza è inguaribilmente buona o altrimenti inguaribilmente cattiva. E’ per questo che io uso al minimo la parola Resistenza e tutte le volte che posso la parola guerra civile. Negli anni atroci che vanno dall’armistizio al primissimo Dopoguerra il sangue italiano fu versato abbondantemente da entrambe le parti. Sono andato a rileggere il libro (Rifugiati a Praga) di un giornalista e saggista cattolico, Gianfranco Stella, il quale è tornato più e più volte sull’argomento. Si trattò per l’appunto di una “guerra civile”, termine che ci volle un bel libro di Claudio Pavone del 1991 perché venisse finalmente sdoganato a farci capire meglio com’erano andate le cose. In più di un’occasione le accuse che Stella ha rivolto a singoli partigiani di avere ucciso a freddo uomini e donne (ma anche bambini) di fede fascista sono state sconfessate in aula. Su migliaia e migliaia di procedimenti giudiziari, in molti altri casi è stata invece appurata la violenza omicida di partigiani o presunti tali. Il che non altera il nostro giudizio storico/politico sul fascismo ora vincente, ora battuto a morte. Ma ci dice quanto la violenza politica sia ogni volta terrificante, e quanto le ideologie che hanno marchiato il Novecento l’abbiano alimentata a iosa.