La guerra fra i bifolchi e le élite
Il filosofo Alain Finkielkraut sul Figaro dice la sua sui gilet gialli in Francia e sulla crisi di cui sono sintomo
In una intervista rilasciata a Le Figaro, il filosofo Alain Finkielkraut dice la sua sui gilet gialli e sulla crisi di cui sono sintomo. “La classe media e le classi popolari vivono in Francia in un doppio stato di insicurezza economica e culturale. Questa gente comune è stata cacciata dalle metropoli a causa degli affitti proibitivi e dalle banlieue dove ha perduto la ‘guerra degli occhi’ (l’ingiunzione di tenere lo sguardo basso che le bande di quartiere impongono a chi non appartiene alla loro etnia, ndt). Altri, che abitano da molto tempo nelle città di media grandezza, sono costretti a chiudere i propri negozi a causa della concorrenza dei grandi centri commerciali e hanno visto i loro posti di lavoro distrutti dalla deindustrializzazione provocata dalla globalizzazione. Questa, che doveva segnare l’apoteosi dell’occidente, si è trasformata in sconfitta, almeno provvisoria. Non c’era posto nella sociologia ufficiale per lo sgomento della gente suddetta, segno di infamia per l’opinione cosiddetta illuminata. Ci ricordiamo il rapporto Terra Nova 2012 che auspicava una nuova coalizione fra diplomati, giovani e minoranze. Questa ‘Francia arcobaleno’, tollerante, aperta, solidale e ottimista si opponeva alla Francia pallida e piagnona dell’‘era meglio prima’.
Le classi popolari non erano più all’avanguardia della storia. Avevano abbandonato il campo del progresso per quello del ripiegamento protezionista e particolarista. Ed ecco che il vecchio mondo oppone resistenza, esce dall’invisibilità. Questa insurrezione improvvisa, questa rivolta della gente che appartiene a un luogo contro la gente di nessun luogo, mi ha effettivamente reso felice. […] La classe dominante, quella che non appartiene a nessun luogo, ha fallito.
La borghesia aveva cattiva coscienza perché era criticata in nome dei valori di uguaglianza che aveva essa stessa promosso per rovesciare l’antica aristocrazia. Ma i privilegiati di oggi giocano su due tavoli: possiedono il benessere materiale e la superiorità morale che gli sono conferite dalla loro apertura di spirito e dall’apologia di un’ospitalità di cui non patiscono le conseguenze. Non ho nessuna indulgenza per questa élite autoproclamata. Ma c’è un pericolo, in effetti, nell’antielitismo. Nel corso di una trasmissione televisiva un gilet giallo ha chiesto in modo aggressivo a un ministro, persona dignitosa, quanto guadagna. Questo comportamento detestabile testimonia il risentimento che esiste nella passione per l’uguaglianza quando questa non è accompagnata da aspirazioni più alte. Combattere la miseria economica, ma anche culturale ed estetica, senza cedere al risentimento egualitarista, tale è la missione della politica”.
Il Foglio internazionale