Ma l'America è più religiosa dell'Europa
Una economista studia i flussi e spiega il nesso domanda e offerta. L'analisi del Wall Street Journal
"La religione non è un campo particolarmente popolare per lo studio economico, in quanto molti accademici preferiscono separare il sacro dal profano. Lo studio della religione riguarda apparentemente il processo decisionale emotivo radicato nella fede. L’economia studia il processo decisionale razionale nel mondo materiale. Ma la recente ricerca economica sulla religione dovrebbe suscitare interesse tra le comunità religiose come tra quelle accademiche”. Lo scrive Sriya Iyer, economista indiana dell’Università di Cambridge. “Nonostante la secolarizzazione in occidente, la fede religiosa continua a crescere a livello globale. Nel 2012 il Pew Global Religious Landscape Study ha dimostrato che 5,8 miliardi di persone – oltre l’80 per cento della popolazione globale – sono religiose.
Oggi gli accademici di tutto il mondo usano la teoria economica e gli strumenti statistici per valutare il ruolo della religione nella società. Noi economisti abbiamo trovato alcuni risultati affascinanti negli ultimi decenni. A livello macroeconomico non abbiamo osservato un declino nell’influenza della religione anche se l’economia globale si è espansa. L’esperienza europea di bassa partecipazione religiosa contrasta con livelli molto più elevati di religiosità negli Stati Uniti, il che è attribuito a mercati religiosi più competitivi. Il pluralismo religioso ha implicazioni positive per la libertà religiosa. Attraverso le reti e il supporto della comunità, la religione giova alla salute fisica e mentale.
"Ho anche studiato il corso del conflitto religioso e dell’estremismo, in particolare le sommosse indù-musulmane dal 1950”, continua Iyer, che nel 2002 ha pubblicato “Demography and Religion in India” e quest’anno, per Harvard University Press, “The Economics of Religion in India”. “Una conclusione interessante qui è che le rivolte religiose non sono diminuite con la crescita economica, sebbene la loro intensità sia diminuita nel tempo. Una ragione per questo è che le organizzazioni religiose forniscono servizi di assistenza sociale. Le cause comuni delle rivolte – come i conflitti su beni pubblici, posti di lavoro o proprietà – sono mitigate, anche se permangono le tensioni sottostanti tra due gruppi. Ci sono ancora grandi domande inevase.
In che misura le motivazioni alla fede religiosa sono intrinseche rispetto alle motivazioni sociali? Perché la religione persiste di fronte alla diffusa crescita economica e alla disuguaglianza? Nelle società non cristiane e non occidentali, che cosa rende la natura della religione simile o diversa dagli Stati Uniti o dall’Europa? Milioni di persone, scettici e credenti, trarrebbero beneficio da risposte migliori a queste domande. Noi economisti della religione – conclude con un certo scetticismo Sriya Iyer – abbiamo ancora molto da imparare”.
Il Foglio internazionale