Jihadisti pericolosi per l'Europa anche quando sono dietro le sbarre
Il processo a un francese accusato di aver ucciso quattro persone a Bruxelles mostra i rischi della radicalizzazione nelle carceri
Un processo per terrorismo che ha avuto inizio a Bruxelles giovedì scorso [il 3 gennaio, ndt] ha mostrato le difficoltà dei tribunali e delle carceri in Europa a contenere la diffusione dell’ideologia jihadista dietro le sbarre”, scrive Valentina Pop. “Mehdi Nemmouche, un 33enne francese di origine algerina, rischia l’ergastolo per la presunta uccisione di quattro persone al museo ebraico di Bruxelles nel maggio 2014. Le autorità spiegano che in prigione i terroristi tramano e diffondono la loro ideologia agli altri detenuti. Le carceri europee sono diventate un luogo di reclutamento per i terroristi malgrado gli sforzi di Francia, Belgio e di altri paesi europei di isolare i detenuti pericolosi e radicalizzati per evitare che facciano proseliti. ‘Le prigioni sono uno dei luoghi principali di radicalizzazione’, ha detto Guy Van Vliedrden, un giornalista belga specializzato nella ricerca dei foreign fighter . Le autorità fanno fatica a isolare gli estremisti o ad arrestarli, ed entrambe le soluzioni sono rischiose. I paesi prendono sul serio il problema della radicalizzazione nelle carceri, ha detto Gilles de Kerchove, il coordinatore dell’antiterrorismo dell’Unione europea. Nel 2017, la Francia ha creato un servizio di intelligence dedicato alle prigioni, che tiene sotto controllo circa 3.000 persone per prevenire la radicalizzazione. A luglio, il paese ha inaugurato un’unità di sorveglianza per monitorare i detenuti radicalizzati dopo il loro rilascio dalla prigione. Altri paesi stanno sperimentando dei consulenti religiosi, sociali e psicologici. Ma fino ad ora, spiega de Kerchove, nessuno ha ‘trovato la formula magica’.
Questo è il primo processo in cui un cittadino dell’Europa occidentale ha viaggiato in Siria, si è arruolato nello Stato islamico ed è tornato in Europa per svolgere un attentato terroristico. Lo stesso percorso è stato replicato negli ultimi anni da altri foreign fighter, alcuni dei quali erano legati a Nemmouche. Nel gennaio 2015, un cittadino francese di origini maliane, convertito all’islam e radicalizzato in un carcere francese, ha preso alcuni ostaggi e ha ucciso quattro persone in un supermercato ebreo a Parigi. Ha coordinato l’attacco con altri terroristi che pochi giorni prima avevano ucciso 12 persone nell’attentato al settimanale satirico Charlie Hebdo.
Tra i 5.000 individui che hanno lasciato l’Europa per l’Iraq e la Siria dal 2012, circa 1.500 sono tornati e 1.000 sono morti secondo Europol, l’agenzia di polizia dell’Unione europea. Le autorità hanno arrestato alcuni foreign fighter al loro ritorno in Europa perché giudicati colpevoli di avere fatto parte di gruppi terroristi in Siria e in Iraq. Altri hanno ricevuto la condizionale e continuano a essere tenuti sotto controllo dalle autorità. Tutti i foreign fighter noti ai governi sono in un programma di sorveglianza. L’Europol ha registrato 700 arresti in Europa per terrorismo di stampo jihadista tra il 2015 e il 2017, il doppio rispetto al 2013-2014. Il numero di jihadisti che hanno fatto ritorno è molto calato. Tuttavia, secondo il Terrorism Situation Report del 2018, c’è il rischio che coloro che hanno esperienza da combattimento possano radicalizzare gli altri detenuti. ‘I jihadisti di ritorno e altri estremisti in prigione possono spronare gli altri carcerati a viaggiare all’estero e condurre attività illegali’, scrive il rapporto. Gli avvocati di Nemmouche hanno detto che il giovane è legato all’attacco al museo ebraico ma che non è lui il cecchino immortalato dalle telecamere. I video di sorveglianza, a cui hanno avuto accesso alcuni media locali, mostrano l’attentatore con due valigie in mano mentre entra nel museo. L’uomo punta la pistola e spara a una coppia di israeliani. Poi spara a un impiegato del museo di 25 anni nella reception. Nel momento in cui prova a sparare alla quarta vittima, un pensionato francese, la pistola si inceppa e dà tempo al pensionato di premere un tasto di emergenza e bloccare la porta. L’attentatore estrae una mitragliatrice, spara alla porta e uccide la donna. L’attacco è durato poco più di un minuto. Gli inquirenti sono fiduciosi che le prove dimostreranno che Nemmouche è l’assassino. Nemmouche aveva con sé uno zaino con le stesse pistole usate durante l’attentato al momento del suo arresto a Marsiglia.
Nacer Bendrer, un 30enne originario di Marsiglia, è attualmente processato per avere aiutato a organizzare l’attentato e per avere acquistato le armi. Bendrer nega le accuse. Nemmouche è processato in Francia per aver preso gli ostaggi, dopo essere stato identificato da quattro giornalisti francesi rapiti in Siria sei anni fa da alcuni estremisti dello Stato islamico. I giornalisti hanno anche identificato un belga di origine marocchina, Najim Laachraoui, che avrebbe ottenuto i giubbotti suicidi usati nell’attentato di Parigi nel 2015 e che è stato uno dei kamikaze nell’attentato di Bruxelles quattro mesi dopo. Gli inquirenti dicono di avere stabilito dei legami tra la cellula dello Stato islamico che ha eseguito gli attacchi di Parigi e Bruxelles. Ad esempio, ci sono state delle conversazioni telefoniche tra Nemmouche e uno dei coordinatori della cellula, che ha chiamato prima di sparare al museo ebraico. I contatti di Nemmouche con la cellula di Parigi e Bruxelles non si sarebbero fermati dopo il suo arresto, secondo la televisione pubblica belga. Durante la sua detenzione preventiva in un carcere belga di massima sicurezza, Nemmouche ha comunicato con un altro sospetto di alto profilo, Salah Abdeslam, l’unico attentatore di Parigi ancora vivo. In settimana è stato arrestato un ex jihadista siriano accusato di avere rubato una chiavetta Usb dall’ufficio del procuratore di Bruxelles. Secondo la procura, la chiavetta conteneva varie copie dell’autopsia delle 32 persone uccise nell’attentato di Bruxelles del 2016. L’uomo, che è stato identificato dalla procura come Iliass K., nega di essere il ladro. Kerchove ha detto che condannare un terrorista è piuttosto facile in Europa, ma è molto più difficile provare che un soggetto radicalizzato può rappresentare un pericolo per la società. ‘Prendere parte a un’organizzazione terroristica è un crimine, ma essere radicali no – ha detto Kerchove – Un soggetto può essere processato solo quando oltrepassa la linea rossa, ovvero quando scarica un tutorial su come comprare una pistola o progettare una bomba’”.
Il Foglio internazionale