Il muro a Tijuana che divide il Messico dall'America (Foto LaPresse)

Fra confini aperti e muri, vincono i secondi

Niall Ferguson sul Times spiega cosa accade fra i due opposti estremismi 

Niall Ferguson, storico di origini scozzesi e senior fellow alla Hoover Institution dell’Università di Stanford, interviene sul Times di Londra a proposito della diatriba politica del momento negli Stati Uniti: il muro al confine con il Messico. Dopo un divertente parallelo con un episodio preveggente della serie tv americana “South Park” e dopo aver ricordato alcune recenti dichiarazioni della speaker della Camera Nancy Pelosi e della neo eletta al Congresso Alexandria Ocasio-Cortez, entrambe democratiche, Ferguson osserva che “implicitamente – e a volte esplicitamente – la sinistra americana sta sostenendo le ragioni degli open borders, cioè del superamento dei confini nazionali. Non bisogna essere un supporter di Trump per reputare ciò una follia”.

 

Parte da qui una digressione sul ruolo dei muri nella storia dell’uomo, tratta da “Once within Borders“, un libro dello storico Charles S. Maier, il quale osserva che “i confini sono più che semplici barriere; per alcuni essi garantiscono un senso di comunità e di appartenenza”. “Tutte le nostre patrie – continua Maier – sembrano assalite da tendenze globali che trasgrediscono la stabilità spaziale e quelli che un tempo erano confini rassicuranti da minacce di attacchi terroristici, rifugiati sradicati, ondate di capitali internazionali, dalla temibile diffusione di nuove malattie e dalla minaccia del cambiamento climatico che non si ferma davanti alle frontiere. Popoli che a lungo hanno goduto della sicurezza territoriale non si sentono più protetti”. Ferguson a questo punto cita il caso della Grande Muraglia cinese o delle mura costruite dentro Gerusalemme dagli Ottomani, sopra quella di Re Salomone di 2.500 anni prima, fino allo “zenith” costituito dalle fortificazioni del XVII secolo in Francia. Abbiamo sperimentato anche i muri costruiti “per tenere le persone dentro”, una novità dei regimi totalitari del XX secolo, dall’Unione Sovietica alla Corea del Nord. “Quei pezzi di Cortina di ferro sono responsabili della pessima fama che hanno i muri ai nostri giorni. Non è stato solo Ronald Reagan a condannarli. Leader occidentali da Churchill all’attuale Papa hanno più volte inveito contro le barriere politiche. E non dimentichiamo i Pink Floyd”, scrive Ferguson.

 

“Tuttavia la nozione di un mondo sans frontières è sempre stata terribilmente naïf. Era semplice schierarsi contro i muri quando questi servivano a imprigionare i tedeschi dell’est e i coreani del nord. È decisamente più difficile quando i regimi più discutibili del pianeta non fanno praticamente alcuno sforzo per contenere i propri cittadini all’interno dei confini. In tutto il mondo le persone sono in fuga da paesi messi male, e c’è ben poco che li fermi. “Secondo una ricerca Gallup del 2017, oltre 700 milioni di adulti nel mondo vorrebbero trasferirsi in modo permanente in un altro paese”. Conclusione di Ferguson sul Times: “Se la scelta è tra confini aperti e muri di difesa, la storia suggerisce che i muri – e coloro che li costruiscono – vinceranno”.

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