L'Europa (forse) non esiste
Una grande ricchezza, mezzo miliardo di persone e la seconda economia mondiale non fanno una superpotenza. Un’analisi di Commentary
"Stando ai numeri, l’Unione europea è un gigante. La sua economia eccede quella della Cina di oltre 70 mila miliardi di dollari ed è leggermente inferiore ai 200 mila miliardi degli Stati uniti. La Russia? Il suo pil di 17 mila miliardi è poca roba. Sulla carta, le nazioni dell’Ue dispongono dello stesso numero di soldati degli Stati Uniti, e mezzo milione in più della Russia. La somma della loro popolazione è molto superiore a entrambe. Tuttavia, il peso dell’Ue nella politica internazionale è quasi nullo” – comincia così l’articolo di Josef Joffe pubblicato sul numero di gennaio di Commentary.
L’Europa non gioca nella lega delle superpotenze, non ha la forza per farlo, malgrado la retorica della sua autonomia rispetto al resto del mondo. La causa si annida nella storia del dopoguerra. L’Europa era indebolita e ha dovuto ricostruirsi, quindi la sua sicurezza esistenziale è dipesa dagli Stati Uniti. All’apice delle Guerra fredda, fino a 300 mila truppe americane, spalleggiate da migliaia di armi nucleari, facevano la guardia sulla Cortina di ferro. Poi alla fine del secolo, l’Unione Sovietica, il suo nemico mortale, si è suicidata il giorno di Natale del 1991, lasciandosi dietro 14 repubbliche.
L’Europa era “tutta libera”, come ha affermato George H.W. Bush, e la vita era dolce. Perché perdere tempo con la politica quando è finita la storia, quando il capitalismo e la democrazia sono in ascesa? Per i successivi 25 anni, le nazioni dell’Ue hanno incassato i dividendi della pace, riducendo il loro esercito all’osso. L’Europa si compiaceva del suo ruolo di “potere civile” o “potere di pace”.
Prendiamo la Germania, la più grande economia in Europa e la quarta a livello mondiale. Dopo la caduta del Muro di Berlino trent’anni fa, l’esercito è stato ridotto di due terzi. I suoi 2.800 carrarmati sono calati a 280. Oggi, la marina tedesca dispone di sei sommergibili, nessuno dei quali è operativo. Quando l’Europa agisce, lo fa seguendo gli Stati Uniti, come è successo in Afghanistan, Iraq, Serbia e Libia o, se si muove da sola, cerca di minimizzare gli sforzi.
I bei tempi sono finiti. Adesso l’Europa deve fronteggiare molte minacce. Non c’è stato un periodo dall’inizio del processo di integrazione europea del 1952, in cui il Vecchio continente ha affrontato così tanti pericoli tutti in una volta, sia all’interno che all’estero. Putin mette pressione all’Europa dall’est, e questo fa parte del suo progetto di restaurazione della grandeur russa. Si è preso la Crimea, e poi ha affidato il sud-est dell’Ucraina ai suoi alleati locali. Un nuovo round di tensioni è in atto nel mare di Azov, dove la Russia ha intercettato tre navi ucraine alla fine dell’anno scorso, facendo presagire il blocco di Mariupol, il terzo porto più grande dell’Ucraina. Il sud Europa è sotto assedio da un esercito di civili, ovvero gli immigrati del Nord Africa che sono alla ricerca di una vita migliore. I rifugiati musulmani provenienti dal medio oriente continuano a emigrare verso delle economie molto regolamentate che sono meno adatte degli Stati Uniti ad assorbire delle “masse stanche e povere”.
Il ritmo dell’assimilazione in Europa continua a essere inferiore rispetto al tasso di immigrazione. Il mercato dei partiti anti immigrazione è in grande crescita. Hanno conquistato dei seggi in Parlamento in quasi tutti i paesi europei, con l’eccezione della Spagna. In sette stati, tra cui l’Italia e l’Austria, queste forze politiche fanno parte della coalizione di governo. I partiti tradizionali stanno perdendo voti a scapito degli estremisti. La morale della storia è che uno stato sociale generoso e una politica delle frontiere aperte non sono un binomio felice. Generano invidia, risentimento e creano una crisi culturale (…).
Alla fine, il motivo per cui l’Europa non è all’altezza della situazione è che “l’Europa” non esiste, non esiste come stato e come attore strategico che può avere un ruolo indipendente tra le altre superpotenze. L’Unione europea ha compiuto degli sforzi magnifici per essere “un’unione sempre più stretta”, come era previsto dal trattato fondativo del 1957. Nel frattempo, ha creato molti organi che la rendono simile a uno stato: un Parlamento europeo, una Corte di giustizia, una commissione che è un quasi-esecutivo; una mole crescente di leggi comunitarie. Purtroppo, la somma di queste istituzioni è insufficiente per creare gli Stati Uniti d’Europa. Il potere reale risiede nei parlamenti nazionali e negli esecutivi. L’unione tra i 28 paesi dell’Ue (tra poco senza la Gran Bretagna) non crea un e pluribus unum (dai molti uno, ndt).
Nella storia moderna non c’è mai stato un precedente in cui degli stati sovrani si sono fusi in una singola entità. Il Regno Unito è il prodotto di una guerra senza fine tra le diverse tribù delle Isole. Le 25 città-stato della Germania si sono fuse attraverso “il sangue e l’acciaio”, per citare la famosa frase di Bismarck. All’inizio, le 13 colonie americane hanno siglato un accordo di pace a Philadelphia. Ma alla fine, ci è voluta una guerra civile sanguinosa per unire il nord e il sud in un unico stato. In questi quattro anni, sono morti più americani che in tutte le guerre successive.
L’unificazione non verrà raggiunta dalle commissioni di Bruxelles. Nemmeno dai parlamenti nazionali, che dovranno rinunciare ai loro poteri per essere in grado di difendere la causa del bene europeo. Dominare il mondo come fanno gli Stati Uniti richiede dosi massicci di sovranità, soprattutto in materia di difesa e finanza pubblica.
Questa Europa non andrà mai in guerra perché una maggioranza degli stati membri lo chiede. I governi eletti non consegneranno mai le prerogative sulla spesa pubblica e sulle tasse a Bruxelles – non quando il loro destino alle urne dipende dall’andamento dell’economia. Nessun parlamento nazionale rinuncerà alle proprie competenze in ambito economico, che sono il Santo Graal della democrazia. Per ottenere tutto ciò, i 27 paesi del dopo-Brexit si dovrebbero fondere in un unico stato, con un Parlamento supremo come il Congresso e un esecutivo eletto direttamente come avviene con il presidente americano.
Elencare questi deficit non intende sminuire i campi in cui la sovranità è già stata persa. L’esempio migliore è l’unione monetaria, che unisce 19 paesi su 27 nell’Eurozona. La moneta unica forse è stata una misura eccessiva, come mostra la crisi dell’euro – prima in Grecia, adesso in Italia. Mentre l’Eurozona continuerà a sfangarla, “l’unione sempre più stretta” dell’Ue sta lentamente indietreggiando.
Iniziamo dalla leadership. Il “motore” dell’integrazione è sempre stato la “coppia” franco-tedesca. Questo matrimonio non è mai stato perfetto, ma oggi i due governi e i propri elettori sono agli antipodi. La Merkel ha faticato molto ultimamente, e Macron ha portato una ventata di ottimismo al momento della sua elezione. Tuttavia, al secondo anno della sua presidenza, l’imperatore è nudo. I manifestanti nelle strade di Parigi lo hanno “spogliato”, come hanno fatto con molti dei suoi predecessori. L’eco-tassa proposta dal presidente è stata solo un pretesto, i manifestanti sono andati in guerra contro il “macronismo” – ovvero il tentativo di liberalizzare il mondo del lavoro e di indebolire i vecchi gruppi di interessi. La Merkel non è stata sconfitta nelle strade, ma nelle urne elettorali. La sua Unione cristiano-democratica (Cdu) è stata ridimensionata in due elezioni regionali (Baviera e Assia, ndt), mentre l’Alternative für Deutschland (Afd), un partito di estrema destra, ha aumentato i suoi voti del 10 per cento (…).
Dunque, la “coppia” franco-tedesca cammina con le stampelle. I francesi diffidano del libero mercato e guardano allo stato come una fonte di protezione. Questo è il motivo per cui i gilet gialli hanno chiesto un aumento della spesa pubblica e dei salari. I tedeschi hanno nostalgia per il Sacro Romano Impero, dove il potere era diviso tra una miriade di regni, città e ducati. Dopo 12 anni di totalitarismo nazista, i tedeschi sono diventati i fautori del federalismo, sia a casa che all’estero. La decentralizzazione è tedesca come la Volkswagen. La Francia invece rimane il bastione del centralismo. La Brexit è il segno più evidente della cosiddetta Eurofatigue. Il Regno Unito preferirebbe andare incontro a un isolamento non così splendido piuttosto che sottomettersi a Bruxelles. Il Regno Unito non vuole “un’unione sempre più stretta”, preferisce “nessuna unione”.
Nel frattempo, la Polonia e l’Ungheria marciano al passo dell’autoritarismo nazionalista. Loro si prendono i lati positivi dell’Europa – miliardi di sussidi da Bruxelles – ma si rifiutano di obbedire ai dettami di uno stato liberal-democratico.
L’Italia è un caso a parte. Ha votato per i populisti di destra e di sinistra, un caso senza precedenti nella storia. Pur entrando spesso in conflitto tra di loro, la Lega e i Cinque stelle sono uniti dall’idea dell’“Italy First” e dal risentimento antieuropeo. Se non riducono il loro enorme debito pubblico, la crisi greca sembrerà una sciocchezza in confronto. Guardando al resto del mondo, vediamo che la Russia, la Cina e gli Stati Uniti stanno tornando a esercitare un dominio su alcune sfere di influenza. Che fine faranno quei 450 milioni di europei con il secondo pil più alto del mondo?
Gli strumenti diplomatici dell’Europa, ovvero il commercio, la persuasione e la risoluzione pacifica dei conflitti, oggi vivono un pessimo stato di salute. Malgrado tutte le conquiste della nostra epoca, l’arena delle politiche mondiale assomiglia più al XVIII e al XIX secolo piuttosto che alla seconda metà del XX, la cosiddetta epoca d’oro dell’occidente. Un tempo gli europei erano una razza di guerrieri disposti a conquistare ogni angolo del mondo. Ma lo sterminio di massa che ha quasi condotto al suicidio dell’Europa nel XX secolo, per non parlare dell’uccisione industriale di milioni di ebrei, ha fatto breccia nell’anima collettiva. Lo spirito del “mai più” ha neutralizzato ogni tentazione di tornare a fare la guerra. L’Europa per molti anni è stata una superpotenza morale non più disposta a studiare la guerra. Oggi questo modello sta perdendo lustro perché in passato poteva contare sull’appoggio degli americani. Questo pilastro oggi è molto più fragile. Angela Merkel ha dichiarato che nell’epoca di Trump, “dobbiamo essere padroni del nostro destino”. Ben detto.
Per rendere l’Europa di nuovo grande, i 27 paesi del dopo-Brexit dovranno fondersi in unico stato con un esecutivo forte e caratterizzato da “decisione, attivismo e segretezza”, come ha affermato Alexander Hamilton nel libro Il federalista.
Per gli europei, il grande ombrello americano offre enormi garanzie, anche perché l’esercito europeo rimane solo un sogno bellissimo. Per gli Stati Uniti, l’importante è esserci. L’importante non è coccolare l’Europa, ma enfatizzare gli interessi dell’America. Schiacciati tra la Russia e la Cina, gli Stati Uniti non vogliono mollare l’Europa, con la sua popolazione di mezzo miliardo di persone e con il secondo pil più alto al mondo. Alla politica internazionale non piace il vuoto di potere, e chi vuole male all’America sarebbe ben felice di riempirlo. Gli Stati Uniti non farebbero un favore all’Europa se continuassero a proteggerla. Farebbero ciò che i propri interessi e la prudenza gli consigliano di fare in un mondo in cui la Russia e la Cina vogliono rendere l’America debole. Senza i suoi cugini europei, l’America sarebbe un gigante solo e zoppicante.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
Il Foglio internazionale