Fake news, i media alleati di Trump
Per il Wall Street Journal la stampa non solo ha fallito, gli ha dato anche nuove cartucce
"L’indagine di Robert Mueller è finita, eppure ci sono ancora molte domande in sospeso”, ha scritto Sean Davis del Federalist sul Wall Street Journal. “Non circa la commistione, l’interferenza russa o l’ostruzione della giustizia, bensì su quanto i luminari del giornalismo nostrano siano riusciti a fare così tanti errori e per così tanto a lungo. Non si è trattato di un paio di errori qui e là. La classe giornalistica americana ha sbagliato su tutta la linea, dagli albori della storia durante la campagna presidenziale fino all’ultimo respiro esalato domenica scorsa (il 23 marzo ndt)".
"L’anno passato il New York Times e il Washington Post hanno condiviso un Premio Pulitzer ‘per una copertura accuratamente referenziata e incessantemente raccontata dell’interferenza russa nella campagna presidenziale del 2016 e delle sue connessioni con la campagna di Trump, la squadra di transizione del presidente-eletto e della sua effettiva amministrazione’. Tutto questo si basava su una teoria – che il presidente degli Stati Uniti fosse un infiltrato della Russia – elaborata da una spia straniera in pensione, il cui lavoro era stato finanziato dal Comitato nazionale democratico e dalla campagna di Hillary Clinton. Un osservatore imparziale avrebbe visto la provenienza partigiana della teoria come una spia rossa, ma la gran parte dei giornalisti politici non vide nulla se non spie verdi. Nessuna voce era troppo lasciva e nessuna soffiata anonima troppo stravagante per essere pubblicata. Dalla Cnn al Times al Post, dai cronisti di rango agli opinionisti ai blogger, tutti volevano una fetta della carcassa traditrice di Trump. A che serve il Watergate del Ventunesimo secolo se non si fa almeno un tentativo di dipingersi come un giornalista senza macchia e senza paura, che rischia tutto per far deporre il presidente? Non solo la stampa ha fallito nel distruggere la presidenza di Donald Trump: gli ha fornito prove a sostegno della tesi sulle ‘fake news’".
"Molti, a Washington e in giro per il paese, hanno creduto che l’indagine di Mueller avrebbe messo a tacere la questione per sempre. Se ci fosse stata una collusione, lui l’avrebbe trovata. Se ci fosse stata un’ostruzione di giustizia, l’avrebbe processata. Qualunque cosa avrebbe trovato, il paese l’avrebbe accettata e si sarebbe andati avanti. Non è andata così, viste le reazioni di chi si ostina a mettere in questione il risultato dell’indagine. Se il vostro obiettivo è quello di trascinare giù Trump, nulla che Mueller o chiunque altro possa trovare farà la differenza. Trump non ha colluso con la Russia, però ha sconfitto la Clinton. A giudicare dal loro comportamento è evidente che molti, nei media, concepiscano questo fatto come una colpa. Per loro – conclude Sean Davis – l’indagine su Trump e la Russia non era mai una questione se proteggere la democrazia o rendere sicure le elezioni. Figurarsi per giunta se c’entrava il raccontare la verità, che poi sarebbe il loro lavoro".
Il Foglio internazionale