Contro la cultura del dito puntato
L’occidente non emuli la Cina sulla libertà di pensiero, scrive il Wall Street Journal
"La mia amica Caylan Ford ha passato la sua carriera a lottare per i diritti umani e a sostenere le vittime di persecuzioni religiose” ha scritto l’attivista e attrice Anastasia Lin sul Wall Street Journal.
“Quando cominciai a parlare in pubblico contro gli abusi del mio paese natio, la Cina, lei mi ha aiutato a fronteggiare la prepotenza del regime comunista cinese. Per questo, ero molto emozionata quando ha deciso di candidarsi alle elezioni nella provincia di Alberta. Lo scorso mese, però, ha dovuto ritirare la sua candidatura dopo essere diventata oggetto di una campagna di assassinio politico. I suoi avversari e diversi giornalisti hanno utilizzato estratti di conversazioni private per dipingerla (falsamente) come una razzista. Le hanno attribuito citazioni secondo cui avrebbe detto che per stampa e politici i perpetratori del terrorismo islamico ‘non rappresentano l’islam, che l’islam è una religione di pace ecc.’, e cercano spiegazioni per i casi di devianza. Quando i terroristi sono dei suprematisti bianchi, invece, ‘i tentativi di capire le fonti della loro radicalizzazione o del loro modo di ragionare perverso è flebile a dir tanto’. Questo tipo di campagne è diventato comune. L’emergente cultura del dito puntato, negli Stati Uniti, in Canada e altrove in occidente, ha diverse somiglianze con la Rivoluzione culturale cinese, in cui scrittori, artisti, dottori, accademici e altri professionisti vennero denunciati pubblicamente e obbligati da masse di persone a indulgere in auto critiche di rituale. Lo scopo non è di persuadere o dibattere, bensì di umiliare il soggetto in questione e intimidire tutti gli altri. L’obiettivo ultimo è di distruggere il pensiero indipendente. La presunzione d’innocenza è un pilastro fondamentale del diritto occidentale. Eppure viene sempre più abbandonato nella corsa ad applicare l’ortodossia della massa e distruggere il nemico politico. Queste persone sostengono di agire in nome della tolleranza, della compassione e della diversità, ma il loro impegno a favore di questi principi è puramente astratto. Nella pratica, sono intolleranti e crudeli, ed esigono conformità totale. La Cina di oggi ci mostra a cosa porta tutto questo. La Cina non è diventata una tirannia da un giorno all’altro. Troppe persone della generazione di mio padre, quando attaccate, hanno deciso di non agire per i propri vicini, amici e neppure per i propri familiari. Hanno imparato ad obbedire anziché mettere in questione, a mettersi da parte piuttosto che pensare con la propria testa. Si sono sottomessi a bugie lapalissiane perché non volevano essere le prossime vittime della massa. Simili decisioni, volte a mettere la reputazione e la sicurezza al di sopra della verità, hanno permesso al male di crescere. L’adesione individuale divenne complicità collettiva, e la Cina fu inghiottita dal totalitarismo. Non lasciate che accada anche qui”.
Il Foglio internazionale