La Cina sta vincendo la guerra tecnologica. E' ora che l'occidente si svegli
David Goldman entra nel dibattito su Huawei. “Per anni ci siamo ripetuti che i cinesi non inventavano nulla. Dobbiamo ricrederci”, scrive Tablet
“Il tour del campus Huawei durò tre ore”, ha scritto su Tablet Magazine David Goldman, intellettuale americano autore di “How Civilizations Die (and Why Islam Is Dying, Too)”, in una lunga disamina dell’offensiva tecnologica cinese nei paesi in via di sviluppo. “E’ probabilmente il più grande museo tecnologico al mondo, più grande dell’Henry Ford Museum di Dearborn, in Michigan, o del Franklin Institute di Philadelphia, con la differenza che vi sono esposte soltanto cose nuove. Una delle installazioni consiste in una mappa quattro per cinque della città di Guangdong, con decine di migliaia di piccole spie luminose. ‘Ogni luce corrisponde a uno smartphone’ ci disse la guida. ‘Siamo in grado di tracciare la posizione di ogni telefono e correlarla con acquisti online e post sui social media’. E cosa ci fate, con tutte quelle informazioni?, chiesi. ‘Beh, se per esempio voleste aprire un ristorante di Kentucky Fried Chicken, questa mappa vi aiuterebbe a trovare la posizione migliore’ mi disse la guida. Sì, certo, pensai. Il Dipartimento di sicurezza dello stato sa esattamente dove si trova chiunque, con chi e in qualunque momento. Se i telefoni di due cinesi che pubblicano sui social media qualcosa di critico verso il governo si trovano in prossimità l’uno dell’altro, i computer della sicurezza di stato sveleranno una cospirazione. Questo fatto era antecedente all’installazione, nelle maggiori città cinesi, di videocamere di sicurezza con dispositivi di riconoscimento facciale, supportati da processori Huawei, a cento metri di distanza gli uni dagli altri. Ora la Cina, per mezzo di Huawei, sta promettendo ai paesi in via di sviluppo di renderli ricchi, tramite i benefici economici offerti dalle nuove tecnologie: la promessa è quella di far loro attraversare la stessa trasformazione vissuta dalla Cina. Nel 1987, il pil pro capite cinese era di 251 dollari, secondo la Banca mondiale. Nel 2017, era cresciuto a 8.894 dollari, ossia si era moltiplicato trentacinque volte. Niente di simile si è mai verificato in tutta la storia economica, men che meno nel paese più popoloso del mondo. E non sono stati soltanto i redditi individuali, a essere cresciuti. I treni superveloci cinesi, le super autostrade, i grattacieli, i trasporti di massa urbani e i porti sono mastodontici monumenti alla nuova ricchezza del paese. In confronto, gli aeroporti, le ferrovie e le strade americane sembrano dei relitti del Terzo mondo. La modernizzazione cinese, però, non è un’enclave della modernità borghese, come in India, bensì un movimento che si estende fin nei capillari della società. Gli imprenditori nei villaggi cinesi si connettono al mercato mondiale tramite i loro cellulari, vendono i loro prodotti e ne acquistano altri su Alibaba, e ottengono finanziamenti dalle piattaforme di microcredito. I flussi di informazione e di capitali scendono fino alle radici dell’economia e i prodotti rifluiscono sui mercati del mondo. La Cina ora si propone di esportare il suo modello al sud-est asiatico, all’Asia centrale, all’America latina e a parti del medio oriente e dell’Africa. Ciò richiede un patto faustiano: le stesse tecnologie che hanno tirato fuori dalla povertà assoluta miliardi di est asiatici, nonché trasformato l’eterno rischio di far la fame in prosperità e sicurezza economica, possono dare ai regimi dittatoriali strumenti di controllo sociale fino ad ora inimmaginabili. La buona notizia è che le prospettiva di un salto in avanti nella produttività del mondo sono buone. La cattiva notizia è che, in questa rivoluzione, la Cina sta agendo aggressivamente per posizionarsi come il fornitore dominante di infrastrutture, tecnologie e investimenti. Al contrario, gli Stati Uniti stanno transitando verso una posizione simile a quella del Brasile, con vantaggi competitivi nei beni agricoli ed energetici, di contro a considerevoli debolezze nella manifattura tecnologica e nelle esportazioni. La tecnologia 5G, fonte di aspre contese tra Stati Uniti e Cina, è un fattore cruciale. Per il settore militare, è ciò che rende possibile il controllo di enormi quantità di armamenti automatici, come i droni, in grado di surclassare le difese antimissilistiche. Per l’industria, è ciò che consente ai robot e ai dispositivi di controllo di scambiarsi enormi quantità di informazioni a velocità 2.000 volte più elevate di quanto concesso dal 4G Lte. Rende anche il costo di estendere la rete alle case private molto più basso, trasmettendo via onde aeree più dati di quanto non sia possibile fare con la fibra ottica. I paesi in via di sviluppo saranno in grado di adottare direttamente il 5G a costo molto inferiore, e in tutto questo Huawei è il fornitore più economico e pure il più tecnologicamente avanzato. Spende 20 miliardi di dollari l’anno nel settore ricerca e sviluppo: circa il doppio di quanto spendano i suoi maggiori concorrenti messi insieme, Ericsson in Svezia e Nokia in Finlandia. Le agenzie d’intelligence americane si preoccupano che la Cina usi la sua dominanza delle reti 5G per rubare informazioni. Ciò è probabilmente vero, anche se, per la posizione dell’America nel mondo, è molto più pericoloso il fatto che i paesi più produttivi del sud globale saranno infrastrutturalmente legati all’economia cinese. Il guaio è che non riusciamo ad ammettere a noi stessi che la Cina ci sta battendo. Per anni ci siamo raccontati che i cinesi non inventano nulla, ma semplicemente rubano le tecnologie degli altri, e che un sistema economico statalizzato non può competere con le nostre economie di mercato. Ci dimentichiamo che la Russia, durante la Guerra fredda, ci ha fatto sudare parecchio. Alla fine degli anni Settanta tutte le persone più intelligenti che ci fossero, da Henry Kissinger a Helmut Schmidt, pensavano che la Russia avrebbe vinto la Guerra fredda, e ci volle l’improbabile elezione di un attore di cinema di serie B a presidente degli Stati Uniti per dimostrare che avevano torto. Per giunta, se da un lato la leadership russa era un’accozzaglia di ubriaconi, la classe dirigente cinese viene selezionata dal 10 per cento di chi ottiene i punteggi più alti negli esami di ammissione all’università. Il Partito comunista cinese ha molti problemi, ma la presenza di persone stupide nei suoi ranghi non è uno di questi. L’occidente da sempre sottostima gli asiatici. E’ ora di finirla”.
Il Foglio internazionale