Fra populismo e politicamente corretto vince il primo. La sinistra ripensi se stessa
Eric Kaufmann spiega cosa è andato storto e come i partiti mainstream devono ricalibrare le proprie idee per tornare a contare
Esiste un confortevole mito, secondo cui gli elettori votano per i populisti di destra perché si sentono ‘lasciati indietro’ dall’economia globale, e dai politici menefreghisti. Quel che serve è ridistribuire la ricchezza, far crescere l’economia e devolvere potere: tutto andrà per il meglio. In effetti, vi sono ben poche prove a sostegno di questi assunti”. Così scrive, su Quillette, il professor Eric Kaufmann, che insegna Scienza politica a Birkbeck, University of London. “In molteplici questionari che ho analizzato, sono le attitudini verso l’immigrazione, e la sua rilevanza, piuttosto che le circostanze economiche o persino l’anti elitismo, che spiegano meglio perché la gente vota per i populisti di destra. La rivolta populista in ultima istanza origina da due fonti principali: la globalizzazione e l’ascesa del liberalismo di sinistra. In occidente, la globalizzazione ha indotto la politica dei confini aperti a diventare mainstream. Questa apertura demografica è il risultato di due rivoluzioni culturali. La prima è la traslazione dal liberalismo nazionale al liberalismo cosmopolita. La teoria politica liberale, sviluppatasi nel Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, dava per scontato che esistessero le nazioni e i confini, cercando di delineare i diritti individuali all’interno degli stati-nazione.
Fu uno spirito simile a dare luogo a un’istituzione sovranazionale, l’Unione europea, che, dopo il 1992, ha sancito il diritto a vivere e lavorare oltre i propri confini nazionali. L’Ue si è da allora dedicata alla riduzione dei poteri nazionali tramite slogan come ‘Europa delle regioni’ (così sminuendo le nazioni), ‘l’Unione sempre più stretta’ (in cui il processo di centralizzazione veniva definito come un obiettivo di per sé), la rimozione dei veti nazionali (attraverso le votazioni a maggioranza qualificata nelle istituzioni europee) e l’elevazione del diritto europeo al di sopra delle leggi nazionali.
La seconda rivoluzione fu lo spostamento culturale della sinistra, dall’attenzione per le classi sociali e l’economia a una preoccupazione per le etnie, i sessi e i gruppi di genere svantaggiati, con i loro relativi movimenti sociali. Questo ha avuto effetti importanti. In che modo? Si considerino due aspetti del liberalismo di sinistra contemporaneo: la scottante cultura dello scandalo e il politicamente corretto tanto in voga. I due originano dalla stessa ideologia, che sostiene che le minoranze razziali, sessuali e di genere richiedano protezione, e che dunque i governi non debbano fare nulla che possa offendere la più sensibile delle persone di queste minoranze. La cultura del dito puntato ha avuto soltanto effetti limitati al di fuori delle università (anche se questo sta iniziando a cambiare nei paesi dell’Anglosfera, dove i dipendenti ‘svegli’ iniziano a diffondere la propria morale nelle organizzazione pubbliche e private, e la stampa di destra diffonde storie di eccessi universitari).
Quello che però è ben più importante al di fuori dei campus è il politicamente corretto. Questa forma di liberalismo di sinistra normalizzata, più silenziosa, ha plasmato le norme sociali in modo da limitare la capacità dei partiti politici mainstream di rispondere alle preoccupazioni dei cittadini, che vogliono meno immigrazione e una difesa della propria versione d’identità nazionale. Come scrivo nel mio nuovo libro, ‘Whiteshift: Populism, Immigration and the Future of White Majorities’, il restringimento della “finestra di Overton” del dibattito accettabile ha aperto uno spazio nuovo per i populisti. Quando nei negozi sovietici vi era soltanto un tipo di pantaloni in vendita, emerse un mercato nero per dare alla gente i jeans che tanto desiderava. Allo stesso modo, quando i partiti mainstream sono allineati sull’immigrazione, i commercianti del mercato nero della politica emergeranno per dare i livelli ridotti di immigrazione che in tanti chiedono.
Per esempio, nel 2013 il ministro dell’Immigrazione svedese Tomas Billström venne attaccato dalla stampa per aver suggerito che la Svezia dovesse avere un dibattito sui livelli di immigrazione. Poi, nel 2014, entrarono in scena i Democratici svedesi, che ottennero il 13 per cento dei voti. I politici mainstream svitarono i propri scranni parlamentari per evitare di sedersi vicino ai populisti, che vennero trattati come una malattia. Poi arrivò la crisi migratoria del 2015. Con i Democratici svedesi al 20-25 per cento nei sondaggi, il governo di centrosinistra iniziò a ridurre il numero di rifugiati accolti e introdusse i controlli d’identità alla frontiera con la Danimarca. Vediamo simili dinamiche in Germania, dove l’Alternative für Deutschland (AfD) è emersa nel 2015, e negli Stati Uniti, dove Donald Trump è stato l’unico dei 17 candidati alle primarie repubblicane disposto a mettere l’immigrazione al centro del proprio programma. Alla luce di questi cambiamenti sismici, i partiti tradizionali devono gestire l’immigrazione con prudenza.
L’immigrazione, come mostrano diversi sondaggi sperimentali, scardina la sicurezza culturale delle maggioranze etniche conservatrici e delle minoranze legate alla composizione etnica tradizionale dei propri paesi. La buona notizia è che il sostegno populista, in occidente, è dovuto a una questione che è sotto il controllo del governo, non all’ostilità verso il sistema democratico. Se sapranno gestire l’influsso migratorio, i partiti tradizionali potranno tenere a bada i populisti, come dimostrato dai socialdemocratici di centrosinistra in Danimarca e dai popolari di centrodestra in Austria. Il declino dell’immigrazione nel 2015 e lo spostamento a destra, su questi temi, dei partiti tradizionali sono il motivo per cui, da allora, i populisti stanno declinando in molti paesi settentrionali e occidentali d’Europa. Se le norme progressiste non paralizzeranno i partiti tradizionali sull’immigrazione, come hanno fatto nel recente passato, le democrazie potranno rispondere con successo alle richieste politiche che ricevono, limitando l’influenza populista”.