Brague, filosofo cattolico di Francia
“L’Europa ha ripudiato le sue fonti cristiane” Un ritratto del Monde
Il filosofo Rémi Brague ci riceve nel suo ufficio. Sugli scaffali compaiono libri scritti in più di otto lingue. Filosofo e storico delle idee, Rémi Brague ha costruito il suo lavoro non alla ricerca di paradossi, ma nella tensione feconda che crea l’incontro tra due poli: libertà e responsabilità, filosofia e teologia, Atene e Gerusalemme. Questo gusto per la tensione feconda gli fa rifiutare anche la designazione di ‘intellettuale cattolico’: egli preferisce dire ‘intellettuale e cattolico’, al fine di preservare la possibilità di una compenetrazione dinamica ed evitare la fusione di questi due termini in un’identità coerente. Brague occupa un posto particolare nel dibattito pubblico. Con il suo amico, il filosofo Jean-Luc Marion, è uno dei pilastri della rivista Communio, la quale, senza promuovere un cattolicesimo tradizionalista, difende un’interpretazione conservatrice del Vaticano II per farne, non un momento di rottura, ma di continuità. Brague è, senza sorprese, un difensore della famiglia tradizionale e si oppone all’aborto – anche se non vuole il suo divieto.
"Sogno un mondo in cui non dovremmo nemmeno vietare l’aborto perché nessuno penserebbe di usarlo…" dice. Niente ha predestinato Brague a un simile futuro. "Sono cresciuto a Malakoff, una città comunista dal 1924, senza interruzione. Sono andato alla scuola pubblica Jean-Jaurès, ho fatto ginnastica allo stadio Lenin, a volte sono andato in piazza Gagarin…". Non ha conosciuto suo padre, un ufficiale morto in Indocina. Sua madre era un’insegnante. Studia all’Ecole normale supérieure (Ens) un anno prima del maggio ’68: oggi sente un senso di vergogna al pensiero che i suoi compagni, l’élite intellettuale, poi si fossero innamorati del pensiero di Mao Zedong… Fu in quel momento che divenne associato a uno dei suoi più cari amici, il filosofo e accademico Jean-Luc Marion. Quest’ultimo lo ricorda come un gran lavoratore e come… il miglior sollevatore di pesi. ‘Oggi’, aggiunge mescolando umorismo e ammirazione, "Rémi Brague pratica culturismo intellettuale".
Fedele a Leo Strauss, si rivolge a Roma per definire ciò che è unico nel nostro continente. L’Europa, secondo lui, è "essenzialmente romana" perché è il frutto dell’incontro tra la Grecia e il mondo ebraico: la sua identità sta nella sana competizione che stabilisce tra ragione e fede. "Ognuno di questi due pilastri è sfidato a dare il meglio di sé. Devono correggersi, completarsi a vicenda e purificarsi. Ho l’impressione che questo sia ciò che la cultura europea ha fatto meglio, ma temo che abbia smesso di farlo alcuni secoli fa". Rémi Brague si rammarica che l’Europa si stia allontanando dalle sue "fonti cristiane", un’immagine che preferisce alle radici. Con la modernità, l’Europa ha, secondo lui, reso l’uomo un essere ‘senza contesto’: non si adatta più al mondo da una cosmologia come i greci, o da un antropologia teologica ispirata alla tradizione biblica, come il Medioevo. "Diversamente dall’islam, il cristianesimo non stabilisce un codice di condotta per inquadrare tutte le dimensioni della vita umana". E’ questa limitazione che, secondo lui, rende il Dio cristiano un "dio emancipatore" che autorizza l’ascesa della libertà, anche se quest’ultima non può essere riassunta nel libero arbitrio, perché ci renderebbe schiavi delle nostre passioni”.
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