Ecco il tour in Israele che le deputate Dem antisraeliane avrebbero potuto fare
I tunnel di Hamas a Gaza, le fabbriche dove ebrei e arabi lavorano assieme, Haifa, Gerusalemme e quelle zone interdette agli ebrei
Le deputate degli Stati Uniti Rashida Tlaib e Ilhan Omar hanno annunciato che si recheranno in Israele e in ‘Palestina’ per ‘venire a conoscenza’ della realtà della regione”, scrivono Lori Lowenthal Marcus e Jerome M. Marcus. “L’ambasciatore israeliano negli Usa, Ron Dermer, ha detto che Israele non impedirà alle due congressiste di entrare nel paese nonostante siano entrambe dichiarate sostenitrici del movimento Bds” (Boycott, Divestment, Sanctions – in base a una legge approvata nel 2017, le autorità israeliane possono proibire l’ingresso a cittadini stranieri che “di proposito esortano pubblicamente a boicottare lo Stato d’Israele”. Il ministero degli Esteri, tuttavia, può raccomandare una deroga per motivi diplomatici. Di fatto, il 15 agosto, dopo che questo articolo era stato pubblicato, il governo Netanyahu ha negato il visto alle due deputate democratiche. Salvo autorizzare il giorno dopo la visita “per ragioni umanitarie” alla sola Tlaib, che però a quel punto ha rinunciato, ndr). “Ma solo perché Israele le farà entrare non significa che i leader israeliani debbano assistere passivamente mentre Tlaib e Omar useranno il paese come sfondo per i loro spot pubblicitari a favore dell’ideologia di Hamas e Hezbollah, per le loro accuse a Israele di apartheid, genocidio e ogni altra possibile nefandezza, per il loro proposito di sopprimere l’autodeterminazione ebraica. Come sa ogni persona di buon senso, nessuna delle cose che queste signore affermano di credere su Israele è fondata nella realtà. Quindi Israele dovrebbe invitare le due ospiti americane nei luoghi dove il loro programma di viaggio non le porterebbe mai. Ecco una proposta di itinerario. La fabbrica SodaStream. Quella che, a causa delle violente proteste del movimento Bds, ha dovuto chiudere un impianto in Cisgiordania dove lavoravano più di 100 arabi a fianco di colleghi ebrei, con salari molto superiori a quelli che gli arabi percepiscono in Giordania, Gaza, Egitto o in qualsiasi città araba negli stessi territori dell’Autorità palestinese. Gli sforzi dei boicottatori di Israele sono riusciti a far perdere un ottimo impiego a decine di arabi che non sono in condizione di raggiungere il nuovo impianto all’interno della Linea Verde.
I tunnel di Hamas. Israele aiuti Tlaib e Omar a venire a conoscenza della realtà sul terreno vedendo in prima persona ciò che Hamas ha fatto con i milioni di dollari sottratti agli aiuti internazionali destinati ai palestinesi di Gaza, e spesi invece per costruire tunnel progettati per essere utilizzati dai ‘combattenti’ di Hamas: uomini addestrati a penetrare nelle città israeliane all’interno della Linea Verde per uccidere civili a sangue freddo. Già che sono in zona, Tlaib e Omar potrebbero visitare le migliaia di acri di terreni agricoli israeliani bruciati dalle ‘proteste pacifiche’ settimanali lungo il confine fra Gaza e Israele.
La città di Haifa. Tlaib e Omar dovrebbero essere portate a Haifa, dove i cittadini israeliani sono arabi per oltre il 50 per cento. Che si facciano una chiacchierata con gli arabi nel Consiglio comunale di Haifa e che incontrino gli arabi nell’Università di Haifa: chiedano a queste persone quante di loro vorrebbero vivere, invece, nello stato Judenrein che l’Autorità Palestinese vuole creare.
Ir David (la Città di David). Omar e Tlaib dovrebbero unirsi ad altri turisti che percorrono la strada usata duemila anni fa dagli ebrei nel loro cammino verso il Secondo Tempio. Poi dovrebbero spiegare come possano sostenere le rivendicazioni dell’Autorità palestinese su Gerusalemme basate sull’assurda pretesa, abbracciata anche dai soloni delle Nazioni Unite, secondo cui Gerusalemme non avrebbe nessun legame storico con il popolo ebraico. Ir David si trova in un quartiere che gli arabi chiamano Silwan, un nome che hanno dato a quel luogo dopo averne cacciato gli abitanti originali: ebrei yemeniti che in quel luogo, che quegli ebrei chiamavano Shiloach, avevano costruito alcune delle prime case fuori dalle mura della Città Vecchia di Gerusalemme. Mentre sono a Gerusalemme possono incontrare George Karra, giudice arabo nella Corte Suprema. […]
Rawabi. A nessun ebreo è permesso entrare in questa agiatissima enclave araba appena a nord di Ramallah. Ma il bellissimo centro commerciale, i graziosi appartamenti, le strade pulite e le forniture ininterrotte di elettricità, gas e acqua mostrano quanto sia amara la sopraffazione esercitata sugli arabi dai loro vicini ebrei. Naturalmente la residenza a Rawabi è disponibile solo per le persone approvate, una per una, dall’Autorità palestinese, esattamente come i negozi ben forniti a L’Avana sono accessibili solo ai membri del partito al potere. Le magre condizioni degli arabi nelle città che non hanno i vantaggi disponibili a Rawabi? Certo. Per colpa degli ebrei? Mica tanto (o meglio, per niente). Una volta completato questo breve itinerario, Tlaib e Omar potranno recarsi in uno dei villaggi afflitti da oppressione, disoccupazione e miseria messi in scena dai loro ospiti arabi. Certamente Tlaib e Omar lo useranno come scenografia per la sceneggiatura, che senza alcun dubbio hanno già scritto, a sostegno delle loro note posizioni anti israeliane e antisemite. Sicuramente, ci saranno parecchi “Benjamin” (il termine usato da Ilhan Omar per denunciare i dollari usati dagli ebrei per corrompere i congressisti americani ndr) che passeranno di mano da ricchi sostenitori ansiosi di garantire un disastro mediatico per Israele. Ma perlomeno Israele avrà filmato le due congressiste messe di fronte a dati di realtà. Un giorno, per qualcuno, questo potrebbe fare la differenza. Se invece, come sembra probabile, Tlaib e Omar rifiuteranno di confrontarsi coi fatti sul terreno che sbugiardano le loro accuse, sarebbe comunque avvincente filmare due sedie vuote che percorrono l’itinerario che le abbiamo invitate a intraprendere, ma che loro hanno avuto troppa paura per accettare. Quella fuga della realtà è di per sé un fatto molto significativo”.
Il Foglio internazionale