Il senso di colpa dell'Europa
Dai migranti al cambiamento climatico, espiamo con un ingenuo moralismo il nostro passato. Su Quillette, Pascal Bruckner spiega cosa sta succedendo
È facile scordare che l’Europa moderna è nata non in un momento di euforia collettiva, ma in una situazione drammatica, a conclusione dell’esperimento nazista. A differenza di America e Unione sovietica, dopo la Seconda guerra mondiale l’Europa non ha potuto dimenticare quel capitolo nero della storia. E proprio per mettersi a riparo da un eventuale ritorno dell’estrema destra al potere, il Vecchio continente ha partorito l’Unione europea, un’organizzazione che privilegia i valori morali rispetto alla Realpolitik. Si è deciso di abbracciare quella che Auguste Comte e Victor Hugo chiamavano “la religione dell’umanità”, ovvero un amore sfrenato verso chi è diverso, sinonimo di altruismo e devozione. Gli europei odiano se stessi e temono il loro passato, per questo porgono il loro sguardo verso altre culture. Un esempio pratico di questa filosofia, senza andare troppo indietro nel tempo, è stata la decisione della cancelliera Angela Merkel di accogliere quasi un milione di profughi siriani nel 2015. Le radici filosofiche dell’etica della virtù – in contrapposizione alla scelleratezze del potere amministrativo – si trovano in Tommaso D’Aquino come in Montesquieu, da Beck a Habermas. In particolare Habermas tenta di riabilitare la sovranità senza scadere in una retorica dell’identità, esortando il popolo a sospettare delle tradizioni che hanno portato l’Europa al collasso. Come mai questa retorica trova spazio solo in Europa? Probabilmente perché il mondo è sempre girato attorno al Vecchio continente, che ora invece si trova in difficoltà ad affrontare i cambiamenti globali e cerca di ripulire le sue impurità costruendo una società nuova grazie a due spinte: l’immigrazione e l’ecologia.
Quando sono salite agli onori delle cronache le migrazioni di massa, nessuno si è stupito che centinaia di migliaia di persone preferissero spostarsi verso l’Europa occidentale e non invece verso l’Africa settentrionale. Solo in Europa infatti i migranti potevano potevano trovare un senso di colpa endemico nel continente che ha reso più semplici di quello che avrebbero dovuto essere molti permessi di soggiorno. Emblematiche in questo frangente le parole di Papa Francesco pronunciate durante una visita a Lampedusa nel 2013: bisogna combattere la “globalizzazione dell’indifferenza”. Il Papa è uno dei più grandi sostenitori dell’accoglienza incondizionata. Ma è strano che il capo della chiesa non si accorga di come un certo tipo di accoglienza metta a repentaglio i conti pubblici e la tenuta stessa dello stato – italiano in quel caso. Eppure oggi parlare di colonizzazione o invasione non è ammesso. L’opinione pubblica ormai è preda del pensiero dominante di giornalisti, intellettuali e ong favorevoli all’apertura dei porti. Scriveva sul Monde a febbraio del 2018 Didier Fassin: “La Francia sarà giudicata dalla Storia per come affronterà il fenomeno migratorio”. Un membro del Consiglio di stato francese citava Novalis in un rapporto del 2013: “E più di ogni altro, il superbo straniero con il suo sguardo profondo, il suo passo leggero, le sue labbra socchiuse vibranti con il canto”. Il nobel Jean-Marie Gustave Le Clézio ha accusato il presidente francese di indecenza per aver esitato nel distinguere migranti economici dai rifugiati politici. E ci sarebbero molti altri esempi.
Gli immigrati hanno sostituito il proletariato nella categoria degli eroi del vittimismo. Deprecare gli europei va di pari passo nell’idealizzare lo straniero, che incarna ogni virtù. Non solo. Gli immigrati vengono considerati come dei salvatori, visto il loro apporto alla deprimente demografia europea. Assistiamo a un processo irreversibile: le migrazioni non possono essere evitate, come ha stipulato il Patto di Marrakesh firmato da 160 paesi il 10 dicembre 2018. Il Patto promuove la cooperazione tra i paesi e dichiara di volere mettere fine alla copertura mediatica “xenofoba, razzista e intollerante” che accompagna le migrazioni. Una distopia orwelliana vocata che sdogana la censura nel nome della liberà. Un altro documento delle Nazioni Unite del marzo del 2000 aveva già previsto che il problema dell’invecchiamento della popolazione e quello del declino demografico si sarebbe risolti attraverso le migrazioni.
La nostra salvezza, quindi, è nelle mani degli altri. È curioso che questo sentimento cristiano si riproponga con forza nell’attuale società europea; una società che da tempo ha perso la fede in Dio. Il migrante oggi viene associato alla figura di Cristo: non possiamo fermare il flusso di migranti, ma possiamo aprire le porte allo straniero, abbracciarlo, lasciarci abbagliare dalla sua luce primigenia. Lui è diverso da noi, è ancora puro, non è stato corrotto dalla modernità e dal capitalismo: è senza peccato, come Cristo.
Proprio come nel periodo coloniale, il cittadino globale non appartiene ad alcuno stato. L’egemonia dell’uomo bianco europeo deve lasciare spazio alla ricchezza della diversità. L’identità dei migranti è sempre positiva, mentre quella delle vecchie nazioni è regressiva. E i media non scordano mai di ricordarcelo, anche facendosi testimoni di azioni puramente simboliche come quella che ha visto l’attore Richard Gere fare visita ai migranti della nave Open Arms per sollecitare il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini a concedere all’imbarcazione un porto sicuro. Che ne è stato allora di tutti quei migranti giunti in Italia, assunti con una paga misera, prede della criminalità organizzata? Le telecamere raramente vengono accese per immortalarli. La realtà, purtroppo, è che ciò che aspetta i sopravvissuti è tremendo, e le loro istanze svaniranno in una coltre di indifferenza.
Tolta l’immigrazione, nulla ossessiona la società europea più del cambiamento climatico. La catastrofe ambientale bussa alla nostra porta e noi ci troviamo di fronte a un dilemma: o cambiamo stile di vita o il pianeta collasserà nel giro di dieci o vent’anni. L’ecologia si è trasformata nella dottrina dell’apocalisse. E’ un paradosso: più diciamo che ogni azione è inutile, meno azioni vengono svolte. Perché dovremmo darci da fare se la nostra fine è inevitabile? Ciò non fa altro che deprimerci. L’unica cosa che possiamo fare è affidarci a esperti che ci indirizzino verso uno stile di vita sostenibile. Nessuno può fuggire l’imperativo, stipulato negli accordi di Parigi, di limitare le emissioni di carbonio. E questo vale soprattuto per l’Europa, che è la prima responsabile dell’invenzione e della diffusione del capitalismo nel mondo. I profeti ambientalisti non vogliono salvare la razza umana: vogliono punirla. Secondo loro l’uomo deve pagare per come ha maltrattato il pianeta. E’ come se vivessimo in un regime totalitario che invoca una mobilizzazione permanente. Non possiamo smettere di attivarci per la causa, neanche un minuto.
Ciò che ci tormenta oggi non è il ritorno del fascismo, bensì il fallimento della democrazia. Dopo la fine dell’esperienza comunista sovietica, le élite europee hanno iniziato a credere che la storia sarebbe finita. Per fuggire gli orrori del passato si è cercato rifugio in un mondo intellettuale di dibattiti e pensiero. Ma scegliendo la coscienza al posto del potere, il Vecchio continente ora rischia di perdere entrambi. La classe dirigente europea vuole spogliare le nazioni delle loro particolarità e vuole trasformare il continente in un’entità legale. La civilizzazione è la continua trasformazione di violenza e ignoranza in educazione e cultura. Ma gli europeisti vogliono abbandonare per sempre la violenza abolendo i confini, rinnegando un’identità comune e la storia nazionale. E impongono il loro dominio attraverso la legge, che non lega assieme una società, ma al contrario divide e isola le minoranze. I moralisti, poi, non praticano quello che predicano. Basti pensare a quanto sia ipocrita attraversare l’Atlantico su un’imbarcazione che produce quattro volte più emissioni di un semplice volo solo per sbandierare il proprio sentimento ambientalista, come ha fatto di recente Greta Thunberg. Allo stesso tempo, le politiche migratorie messe in atto da un politico liberale, che incarna appieno lo status dell'élite europea, come Macron, non sono poi così diverse da quelle di uno dei politici più osteggiati dalle classi dirigenti del Vecchio continente, Matteo Salvini. E’ solo l’apparenza che inganna.
Più un’entità democratica si mostrerà aperta e tollerante – anche se pur in minima parte, come nel caso del presidente francese – più i suoi nemici verranno dipinti come dittatoriali o fascisti. Questa è l’Europa come appare oggi: un non luogo che si lascia facilmente ingannare dai buoni propositi invocati da politici che, pur essendo in buona fede, non hanno una visione concreta del reale. Se l’Europa non cambierà il suo corso, morirà delle sue millantate virtù. E proprio l’etica imperante – dai porti aperti all’ambientalismo – è il segno di una classe dirigente che fugge le sue responsabilità e si affida a narrazioni ingenue. L’Europa vuole scomparire, sommersa dai suoi peccati. Forse, soltanto una nuova generazione potrà salvarci dal nostro desiderio di autodistruzione.
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