L'agenzia Onu per i palestinesi perpetua il conflitto arabo-israeliano

Anziché chiudere il conflitto, lo tiene vivo. Anziché consentire l’integrazione dei palestinesi nei paesi dove risiedono, ne fa eterni profughi

Un Foglio internazionale. Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, selezionate per voi da Giulio Meotti


 

“L’Autorità palestinese e Hamas hanno festeggiato, venerdì scorso, e ne avevano ben donde. Quel giorno le Nazioni Unite hanno deciso di prorogare per altri tre anni il mandato dell’Unrwa, l’agenzia per profughi palestinesi”. Così scrive Ben Dror Yemini.

 

“La decisione non è passata con una maggioranza ristretta. Tutt’altro: ha ricevuto il sostegno praticamente unanime dell’Assemblea generale, con 169 paesi che hanno votato a favore, nove astenuti e solo due (Israele e Stati Uniti) contrari. Ma questo voto, ad un esame attento, appare più che altro una vittoria di Pirro.

 

L’Unrwa venne creata settant’anni fa, nel dicembre del 1949, solo cinque giorni dopo la creazione dell’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr). Al momento della sua fondazione, in base alla sua stessa definizione di “profugo palestinese” l’Unrwa prese in carico 711.000 rifugiati. Oggi, a seguito di quella definizione e di alcune modifiche ad essa apportate per includere tutti i discendenti di quei rifugiati, i profughi palestinesi in carico all’Unrwa sono circa 5,5 milioni. Come mai c’era bisogno di un’agenzia apposita (distinta da quella che si occupa di tutti gli altri profughi del mondo)? Perché a quell’epoca la dirigenza araba voleva solo una cosa: sfruttare la condizione dei profughi come un’arma per combattere l’esistenza di Israele. E chi pagò e continua a pagare il prezzo per quella scelta? I profughi, naturalmente, la cui condizione è diventata una ferita eternamente aperta.

 

Gli enormi budget che la comunità internazionale ha riversato per decenni all’Unrwa sarebbero bastati per dare a ogni famiglia di profughi una dimora più che dignitosa e fondare infrastrutture e imprese economiche che permettessero loro di ricostruirsi una vita, e di migliorarla generazione dopo generazione.

 

Più di 60 milioni di persone dovettero fuggire o vennero cacciate dalle loro case durante la prima metà del XX secolo a causa dei conflitti, delle loro conseguenze e della fondazione di nuovi stati nazionali. Il trasferimento e lo scambio di popolazioni era purtroppo una consuetudine. Ci fu anche una “nakba ebraica” (nakba è il termine usato dai palestinesi per indicare la “catastrofe” del loro esodo a seguito alla nascita d’Israele nel 1948 e della guerra che dovette combattere per difendersi dall’aggressione degli stati arabi). Circa 850.000 ebrei se ne andarono o furono espulsi dai paesi arabi, mentre tutti i loro beni venivano confiscati. Nessuno di loro, men che meno i loro discendenti, sono oggi considerati profughi a titolo ufficiale. Solo ai profughi arabi palestinesi viene assegnato questo titolo. L’unica istituzione che diffonde e perpetua questa idea di un “diritto al ritorno palestinese” è l’Unrwa, un diritto che non compare in nessuna legge internazionale.

 

Non ci sono 5,5 milioni di rifugiati palestinesi, è una bufala. Il Libano, ad esempio, afferma che complessivamente vi sono solo 475.000 profughi palestinesi. Un censimento condotto nel 2017 ha rilevato che, all’interno del Libano, si contano solo 174,00 profughi palestinesi, e tutti loro patiscono ciò che a buon diritto potrebbe essere descritto come un regime di apartheid (negazione della cittadinanza e segregazione civile e politica, ndr). La Giordania ha invece riconosciuto loro la cittadinanza, un fatto che di per sé dovrebbe cancellare lo status di “profugo”. Ma continua a sussistere una definizione generale per la gran parte dei profughi al mondo, e una definizione speciale valida solo per i profughi arabi palestinesi.

 

La soluzione alla questione dei profughi palestinesi dovrebbe essere la stessa prevista per tutti: riabilitazione e superamento dello status di profugo. Per farlo, non è necessario smantellare immediatamente l’Unrwa. Quello che occorre è un piano di tre-cinque anni che garantisca la cittadinanza ai palestinesi nei paesi dove vivono, e un budget destinato a promuovere la loro integrazione. Quelli di loro che resteranno veri profughi, quale che sia la loro effettiva quantità, saranno presi in carico direttamente dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati.

 

Persino Facebook ha deciso di donare soldi all’Unrwa. Qualcuno dovrebbe spiegare a Mark Zuckerberg che nelle scuole dell’Unrwa si insegna l’antisemitismo, cioè che quei soldi vanno ad alimentare l’odio anziché il benessere.

 

La decisione delle Nazioni Unite di prorogare per l’ennesima volta il mandato dell’Unrwa così com’è è una decisione a favore della conflittualità, volta soltanto a riverire la sofferenza e lo scontro. Non è questo il modo per risolvere le sofferenze dei profughi”.

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