Una rivoluzione americana
Gli Stati Uniti sono scossi da una nuova ideologia, la “giustizia sociale”. Così una generazione ha imparato a mortificare e odiare la propria cultura
L’ideologia della giustizia sociale sta trasformando l’istruzione superiore nel motore di una graduale campagna politica”, scrive Heather Mac Donald sul City Journal. “Attivisti di sinistra, mascherati da professori, si stanno infiltrando nei tradizionali dipartimenti accademici o ne stanno creando di nuovi – dipartimenti come quelli in ‘Solidarietà e giustizia sociale’ – per promuovere le loro battaglie. Stanno raggiungendo i livelli più alti dell’amministrazione universitaria, e dalle loro posizioni apicali richiedono agli studenti di prendere parte a corsi di giustizia sociale, come ‘Sessualità autoctona e discorsi queer’ o ‘Workshop sull’hip-hop’, e di partecipare a eventi sulla giustizia sociale – come simposi su riparazioni, rimpatrio e risarcimento o incontri su potere e privilegio – al fine di laurearsi”.
In realtà la diffusione dell’educazione alla giustizia sociale deriva da una ben più grave perversione accademica: il vittimismo di razza e di genere. In poche parole il culto della “diversità”, che mina la base della nostra civiltà. L’educazione alla giustizia sociale è un ossimoro. Perché un accademico dovrebbe aspirare a correggere i mali della società? A partire dal IX secolo, le università promuovono il concetto che la conoscenza veicoli il progresso della società. Se a prima vista l’impegno sociale dei professori attivisti sposa gli obiettivi ultimi dell’istruzione universitaria, in realtà accade esattamente l’opposto. Quando un’università persegue la giustizia sociale, infatti, rigetta la sua pretesa di autorità, ovvero la ricerca disinteressata della conoscenza. Inoltre, la definizione di giustizia sociale è estremamente faziosa e comporta una serie di affermazioni contestabili sulle cause della diseguaglianza economica. Le idee dei sostenitori della giustizia sociale diventano dogmi, professati e difesi come tali all’interno dei college, benché siano presenti nel mondo libero della conoscenza accademica punti di vista originali e alternativi, quando non del tutto opposti. Il risultato è che gli studenti conservatori sono condannati al silenzio e si astengono dallo sfidare i dogmi della giustizia sociale, preoccupati dal fatto che qualche video che li mostra esprimere osservazioni non progressiste possa finire sui social media, mettendo quindi a repentaglio la loro carriera.
“Quanto è grave la politicizzazione accademica? E’ manifesta e impenitente – scrive Mac Donald – In un recente seminario di una scuola di giurisprudenza sul tema delle razze e della legge, un professore ha annunciato all’inizio della lezione: ‘Stiamo addestrando guerrieri della giustizia sociale qui’. Se il professore avesse detto: ‘Stiamo addestrando guerrieri della giustizia qui’, non ci sarebbe stato alcun problema. I guerrieri della giustizia cercano di realizzare una delle grandi aspirazioni della storia occidentale: essere governati da principi neutrali, piuttosto che dalla partigianeria tribale. Nell’aula di tribunale, i guerrieri della giustizia perseguono questo stato di diritto attraverso il processo contraddittorio, in cui entrambe le parti hanno pari opportunità di portare fatti e ragionamenti a loro difesa. La giustizia sociale però si oppone alla giustizia procedurale. In un anno di retorica vittimistica sempre più martellante, uno degli auspici più inquietanti per il futuro sono state le proteste nelle scuole di giurisprudenza di Harvard e Yale contro la nomina di Brett Kavanaugh alla Corte suprema. Centinaia di studenti delle nostre accademie di legge più influenti hanno marciato sotto il motto del raduno del #metoo ‘credi ai sopravvissuti’, che significa che chiunque si professi vittima di violenza sessuale deve essere automaticamente preso per vero prima che qualsiasi prova sia stata presentata e vagliata da un tribunale neutrale”. Molti di questi studenti finiranno per diventare giudici federali, e alcuni forse raggiungeranno la Corte suprema. Se tradurranno il loro motto nel loro lavoro quotidiano, il giusto processo è condannato.
Ma su che valori si basa la giustizia sociale? La pedagogia della giustizia sociale si fonda sul divario tra bianchi da un lato, e neri e ispanici dall’altro. I bianchi liberal pensano che le differenze a livello economico e di qualità della vita non verranno mai colmate. Perciò hanno creato una narrazione totalizzante del razzismo che, secondo loro, frenerebbe il successo – in ambito scolastico e lavorativo prima che in altri ambiti – della popolazione di colore. I professori attivisti provocano i loro studenti chiedendo: “Cosa significa vivere in un paese dove la cultura dominante è quella veicolata dai bianchi?”. Gli si potrebbe semplicemente rispondere che vivere in una cultura occidentale significa che se non si è bianchi si è in minoranza. Viceversa, in un qualsiasi paese africano chi non è di colore è in minoranza. L’unica differenza è che i non bianchi di tutto il mondo sono attratti dall’occidente e cercano di entrare nei paesi occidentali. Ciò avviene senza che una migrazione comparabile avvenga nella direzione opposta. I politici e i professori di sinistra che denunciano la supremazia bianca sono gli stessi che vogliono aprire i confini. Una contraddizione. Secondo loro, infatti, l’America è sia il luogo della repressione ideologica dei non bianchi, sia un buon rifugio per i migranti. E quali sarebbero poi le norme bianche della cultura dominante che i discorsi sulla razza cercano di decostruire? “Obiettività, etica del lavoro, individualismo, rispetto della parola scritta, perfezionismo e prontezza”, così ritengono i formatori alla “diversità” di molte discipline umanistiche, scienze sociali e persino facoltà scientifiche e tecnologiche (Stem). Insomma, qualsiasi atto di autodisciplina o gratificazione che contribuisca al successo individuale viene visto come una manifestazione della supremazia bianca. Ma a essere attaccato più di tutto è uno dei capisaldi della società occidentale: la meritocrazia.
“E’ impossibile esagerare quanto sia feroce e radicale l’attacco alla meritocrazia: ogni istituzione tradizionale, o sta rivedendo radicalmente i suoi standard o viene attaccata per non averlo fatto. Le organizzazioni professionali Stem condannano i mezzi tradizionali per valutare le conoscenze. Secondo questi professionisti, gli studenti dovrebbero essere in grado di ottenere dei meriti partecipando a progetti di gruppo o sviluppando una presentazione per le loro famiglie e amici su un concetto scientifico”, scrive Mac Donald. “Ma anche i criteri di selezione adottati dalle facoltà si trovano sotto attacco. Circa un decennio fa, si esigeva di offrire un incarico di ruolo dopo la redazione di un’antologia. I supplenti sono solo diventati più creativi per ottenere le borse di studio. Alla Bucknell University, un membro di facoltà appartenente a una minoranza etnica ha richiesto che la partecipazione, su un’applicazione online della facoltà, a una discussione online piena di imprecazioni nei confronti di Amy Wax, un criticato professore di Diritto dell’Università della Pennsylvania, possa contare come ‘lavoro intellettuale’ svolto dai gruppi di minoranza in facoltà ed essere inclusa nei meriti accademici”.
Una volta entrati nelle facoltà, il modo più semplice per imporre le proprie idee è quello di raggiungere le posizioni apicali. Ad esempio l’Università della California a Davis ha delegato la gestione delle assunzioni in molte discipline scientifiche e tecnologiche a un comitato guidato da chi è a capo dell’organo interno alla facoltà che si occupa di diversità e da altri burocrati. Ma queste persone non sanno come valutare la ricerca scientifica: giudicano gli studenti in base alla loro diversità. Si innesca così un ciclo deleterio: studenti mediocri vengono ammessi in scuole fuori dalla loro portata solo perché appartengono a una minoranza. Ovviamente, non riescono a stare al passo con i compagni. Ma i burocrati non pensano che il problema sia dovuto a una corrispondenza accademica squilibrata. No, per loro gli studenti vanno male a scuola perché attorno ad essi non si è ancora formata una massa critica di studenti di minoranza che li possa difendere dalla bigotteria della facoltà. Così, le università scavano sempre più a fondo nelle liste dei candidati e aprono le porte a studenti mediocri, con l’unico merito di appartenere a un gruppo di minoranza. Ne consegue che le prestazioni degli studenti diventano sempre più modeste e la qualità dell’università viene intaccata.
Insomma, “la soluzione definitiva della giustizia sociale per restringere il divario nelle competenze e nei comportamenti è quella di rimuovere completamente la competitività”, spiega Mac Donald. E’ un obiettivo, questo, che viene promosso nelle istituzioni scolastiche fin dai primi anni delle scuole elementari. “Dal momento in cui i bambini entrano a scuola, vengono rimproverati per il loro privilegio bianco, etero e patriarcale, a meno che non facciano parte di un gruppo di vittime favorito. Ogni successo che possono festeggiare non è dovuto ai loro sforzi, gli viene detto; è piuttosto dovuto agli ingiusti vantaggi di un sistema volutamente progettato per ostacolare le minoranze. Agli insegnanti viene consigliato di ignorare gli studenti maschi bianchi, poiché porre o rispondere a domande in classe è un’altra evidenza di supremazia maschile”.
Istruiti fin da piccoli a mortificare la competitività e la meritocrazia, i giovani delle nuove generazioni imparano a odiare la propria cultura. Ciò significa rinnegare le proprie radici, il proprio passato. Il nostro passato culturale, infatti, è pieno di misteri. “Come, ad esempio, la letteratura occidentale è evoluta passando dal romanzo medievale al romanzo realistico, ovvero il romanzo popolato da figure allegoriche che vagano per paesaggi classici, il racconto che mostra profonda attenzione per i personaggi individuali e i dettagli della vita di tutti i giorni? Cosa significava un tale cambiamento per come gli esseri umani pensano stessi nel mondo?”, si chiede Mac Donald. “L’evoluzione della forma, che si tratti di letteratura, arte o musica è una grande storia di avventura, in cui tracciamo il riflesso mutevole dell’esperienza umana nello specchio dell’immaginazione umana. Il più grande peccato della crociata della giustizia sociale e della diversità è insegnare agli studenti a odiare questa eredità culturale. I crociati della giustizia sociale stanno spogliando il futuro di tutto ciò che dà significato alla vita umana: la bellezza, il sublime e l’umorismo”.
Il Foglio internazionale