L'indifferenza dell'occidente è il migliore alleato del coronavirus
I cittadini non sono disposti a fare delle piccole rinunce per combattere un’epidemia globale dalle conseguenze devastanti, scrive il Sunday Times (2/2)
"Quando avevo undici anni sono stato spaventato a vita dalla Bbc”, scrive lo storico Niall Ferguson sul Sunday Times: “Era il 1975 e la serie televisiva si chiamava ‘Survivors’. Il primo episodio inizia con uno scienziato cinese che fa cadere per terra una fiala di vetro che si rompe. Poi sale su un volo aereo per Mosca, dove inizia a sentirsi poco bene. Viaggia a Berlino, Singapore, New York… e finalmente arriva a Londra. E poi un’inquietante macchia rossa si diffonde sullo schermo. La genialità della serie consiste nell’ambientazione nella middle class inglese – in un Herefordshire pieno di campi da tennis, collegi e casalinghe. Dopo dieci minuti del primo episodio, quell’Inghilterra inizia a regredire verso il XIV secolo. La fiala dello scienziato cinese conteneva un batterio più mortale dello Yersinia pestis che ha causato la Peste Nera. La Morte Nera ha ucciso tra 75 e 200 milioni di persone e si è diffusa a est verso l’Eurasia a partire dal 1340. La malattia è stata trasmessa dai morsi delle pulci che viaggiavano attraverso i roditori. Il 60 per cento della popolazione europea è stata uccisa dalla malattia. ‘Survivors ’ immaginava un’infezione peggiore della peste che, come la Morte Nera, si originava in Cina. Gli sceneggiatori della Bbc avevano studiato attentamente. La malattia aveva gli stessi sintomi della peste: gonfiore sotto le ascelle, febbre, vomito di sangue. Come nel XIV secolo, le vittime morivano una settimana dopo essere state contagiate. I ratti avevano un ruolo dominante nelle scene londinesi.
Da tempo credo che, malgrado i progressi della scienza, restiamo più vulnerabili a un virus del genere piuttosto che, diciamo, al cambiamento climatico. La peste bubbonica ha ha ucciso regolarmente in Europa fino al XVIII secolo e ha devastato la Cina e l’India nel 1850 e nel 1890. Tra il 1918 e il 1919, l’influenza spagnola ha ucciso tra 20 e 30 milioni di persone, circa l’1-3 per cento della popolazione globale. Ogni anno le malattie respiratorie derivanti dall’influenza uccidono 650 mila persone in tutto il mondo. Quindi non vi sorprenderà che ho seguito ossessivamente gli sviluppi del Wuhan coronavirus da quando le autorità cinesi hanno ammesso che può essere trasmesso da un essere umano all’altro. Il coronavirus spaventa più dell’ebola, che si è diffusa in alcuni paesi africani ma non si è trasformata in una pandemia globale. La trasmissione attraverso i liquidi corporei rende il contagio più difficile e i sintomi sono talmente debilitanti che i soggetti infetti muoiono poco dopo aver contratto la malattia. Il coronavirus invece si trasmette nell’aria e i sintomi si verificano solo due settimane dopo il contagio, un’altra caratteristica molto pericolosa. Alcuni opinionisti hanno minimizzato i rischi. Ma è troppo presto per concludere, come ha fatto Marc Siegel sul Los Angeles Times, che il coronavirus ‘non rappresenta una minaccia al di fuori della Cina’. E’ sicuramente un errore preoccuparsi ‘meno del virus ma più del modo sbagliato in cui il nostro mondo spaventato potrebbe rispondere’, come scrive Farhad Manjoo sul New York Times. Per quanto riguarda la lamentela di Brandon Tensley della Cnn, secondo cui la task force dell’Amministrazione Trump non è abbastanza ‘diversa’, ovvero include troppi uomini bianchi, Dio ci salvi dalla sanità politicamente corretta.
I primi casi del virus si sono verificati a fine dicembre, e 27 dei 41 soggetti infetti erano stati direttamente esposti al mercato di Wuhan dove (incredibilmente, visti i rischi) i pipistrelli vivi venivano venduti per essere mangiati. Nel giro di un mese, la malattia ha raggiunto ogni angolo della Cina. Un ritmo molto più rapido della diffusione della Sars nel 2002-2003. Una possibile spiegazione è che il traffico aereo in Cina è cresciuto enormemente dai tempi della Sars. L’anno scorso 1,2 miliardi di passeggeri hanno viaggiato nei cento aeroporti più importanti del paese, nel 2002 erano stati solo 170 milioni. L’aeroporto Tianhe di Wuhan l’anno scorso ha avuto lo stesso traffico aereo dell’aeroporto di Hong Kong diciotto anni fa. L’epidemia si è diffusa poco prima del Capodanno cinese e le autorità regionali e/o nazionali sono state troppo lente a riconoscere quanto fosse contagioso il virus.
Al momento sono stati confermati 164 contagi in 24 paesi al di fuori della Cina, dei quali sette in America, quattro in Canada e due nel Regno Unito. In altre parole, stiamo avendo a che fare con un’epidemia nel paese più popoloso al mondo che ha delle buone possibilità di diventare un fenomeno globale. Quanto sono alte queste chance? Quanto si diffonderà a pandemia? Quanto sarà letale? La brutta notizia, come spiegano Joseph Norman, Yaneer Bar-Yam e Nassim Nicholas Taleb in uno studio sul New England Complex Systems Institute, è che la risposta contiene delle ‘incertezze asimmetriche’. I ricercatori misurano la gravità delle pandemie usando degli ‘standardised mortality units’ (SMUs), ovvero dei tassi di mortalità standardizzati. Uno SMU equivale a un tasso di mortalità dello 0,01 per cento, ovvero 770 mila morti su scala globale. Una pandemia globale ‘moderata’ è inferiore a dieci SMUs; una pandemia ‘severa’ invece eccede la cifra. Tuttavia, i tassi di mortalità medi di una pandemia moderata sono pari a 2.5 SMUs, rispetto a 58 per una pandemia severa. In altre parole, il tasso di mortalità di una pandemia severa sarebbe 20 volte più alto e ammonterebbe a 44,7 milioni di morti. Grazie alla Bbc ho avuto la paranoia delle pandemie per gli ultimi cinquant’anni. Tuttavia, è difficile resistere quello strano fatalismo che ci porta a non cancellare i nostri programmi di viaggio e non indossare delle mascherine scomode anche quando siamo alle prese con un virus che si diffonde esponenzialmente. E’ ora di riguardare ‘Survivors’. Ma ognuno a casa propria”.
Il Foglio internazionale