Viva la piccola borghesia
L’elogio di Gabrielle Cluzel, che senza nostalgia e con ironia manifesta dalla Francia la sua preoccupazione per la progressiva scomparsa della civiltà di una volta
Gabrielle Cluzel è caporedattrice del sito Boulevard Voltaire. Ha appena pubblicato “Enracinés!” (Artège). VigaroVox l’ha intervistata.
FigaroVox – E’ una categoria sociologica che ancora non si trova nei manuali: in questo libro, lei tesse le lodi della “borghesia bianchetto di vitello”. Qual è l’identità di questa borghesia?
Gabrielle Cluzel – Non disperiamo! L’espressione avrà forse successo in futuro. La volevo come titolo del libro, ma il mio editore temeva che librerie lo collocassero nella sezione cucina. Lo dico tanto più facilmente perché non è farina del mio sacco, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare… E’ Emmanuel Macron che l’ha inventata in occasione della campagna elettorale, in relazione all’apertura domenicale dei negozi: ha deriso “il bianchetto di vitello in famiglia” dei “piccoli borghesi”, “dei sedentari”. Piatto preferito del commissario Maigret, il bianchetto di vitello profuma di Francia pompidoliana, tranquilla e prospera. E’ la borghesia “bianchetto di vitello” che abitava nelle casette nuove, in periferia. Che andava nel piccolo teatro rococò, ormai chiuso, tranne quando, per essere chic, vi si recita un’insensata pièce contemporanea. Il segreto del bianchetto di vitello? La sua salsa, ciò che la lega. E’ il vero vivre-ensemble, senza legami si finisce per morire soli. Sradicando questi valori etichettati come “borghesi” – quando in realtà, nei paesini di campagna, erano condivisi sia dai contadini sia dai signorotti – il legame sociale è scomparso. Più nessun “codice”, dunque più nessuna convenzione – perché ritenuti ipocriti. Era una rete forte che unificava, un sistema di riferimento comune, ereditato dai valori cristiani: la gentilezza, le “buone maniere” sono figlie della carità. Il rigore, la puntualità, l’amore per il lavoro ben fatto, il senso del dovere sono una declinazione profana delle regole benedettine.
Chi oserebbe rivendicarsi come “borghese”? Dall’estrema sinistra all’estrema destra, la parola è un insulto. Questo borghese portava dentro di sé i valori di merito e lavoro. Che sono spariti con lui
Questa piccola borghesia di provincia sembra in via di estinzione. Di chi è la colpa?
Di quelli che non hanno mai smesso di denigrarla, fino a farne qualcosa di repellente. Emmanuel Macron sapeva ciò che faceva utilizzando quel tono sarcastico: ricondurre gli oppositori dell’apertura domenicale all’immagine della borghesia bianchetto di vitello era un modo per screditarli subito. Chi oserebbe oggi rivendicarsi come “borghese”? Dall’estrema sinistra all’estrema destra, la parola è un insulto. “Tutti odiano i borghesi”. Ed è con quest’arma di screditamento di massa che vengono designate le usanze civili che irroravano la società francese. Ci si arrovella per analizzare la desertificazione dei territori. Peccato che, prisma marxista o liberale oblige, ci si interessi soltanto al fattore economico. Si evoca l’insicurezza culturale provocata dall’immigrazione, ma essa è stata accelerata anche dalla cancellazione del tessuto sociale. E l’agonia delle città di medie dimensioni non è soltanto una questione di grandi superfici sistemate nel posto sbagliato. E’ un modo di vivere che è stato messo al bando. Per colpa dell’odio di sé. Dalla centralizzazione alla delocalizzazione, dall’abbattimento del tribunale alla dissoluzione della guarnigione, dalla chiusura della clinica ostetrica al fallimento di una fabbrica, col pretesto di una razionalizzazione che non riesce a produrre risultati, il tessuto sociale è stato smantellato senza che nessuno si preoccupasse delle conseguenze sociologiche di questo esodo massivo di giudici, medici, militari, dirigenti… E oggi, dei sindaci senza visione per il futuro della loro città pensano di compensare questo esodo con la costruzioni di case popolari, come se tutti gli individui fossero interscambiabili.
Anche l’indebolimento della famiglia ha avuto un ruolo influente nella rimozione di una parte dell’animo francese?
La famiglia è stata calpestata perché è il primo radicamento, è il primo stampo della propria vita e ci segna. E’ un luogo che ha dei valori giudicati riprovevoli: luogo di autorità, tra genitori e figli. Luogo di identità, di tradizioni comuni. Luogo di trasmissione, di un patrimonio genetico, materiale, culturale. Luogo – osiamo pronunciare questo termine provocatorio – di esclusione: ognuno preferisce, ovviamente, i suoi figli a quelli degli altri. Non c’è nulla di più forte di questo legame, e di più doloroso quando si spezza, come è stato appena dimostrato dall’indignazione dinanzi al rifiuto dell’Assemblea nazionale di allungare il congedo dei genitori colpiti dalla morte del proprio figlio. Certo, non è tutto rose e fiori (i lettori di Pel di carota lo sanno bene). Ma il legame esiste, anche quando è doloroso. Il paese è la famiglia delle famiglie, e ognuna di esse è depositaria di una parte dell’animo francese. Precipitare la sua disgregazione attraverso delle leggi cosiddette di società, è precipitare la disgregazione del paese.
Quali sono i valori di questa “brava gente” di cui parlava Georges Brassens nelle sue canzoni, e perché la loro scomparsa sarebbe tragica?
Lei fa allusione alla brava gente conformista e pronta a puntare il dito? Ma è da un bel po’ di tempo che la brava-gente-a-cui-non-piace-chi-segue-una-strada-diversa-dalla-sua ha cambiato sponda! Si potrebbe rivisitare, alla luce della nostra epoca, un’altra canzone di Brassens. Suonerebbe così: “E’ dedicata a te questa canzone, tu il media che, senza farmelo pesare, mi ha autorizzato a parlare sul tema della Pma (Procreazione medicalmente assistita, ndr), quando la gente ipocrita, tutte le persone dalle buone intenzioni mi avevano sbattuto la porta in faccia! (…) tu che non hai applaudito quando la gente ipocrita, tutte le persone con le buone intenzioni, ridevano nel vedermi ricoperta di insulti negli studi televisivi!”. La brava gente di una volta è diventata gente coraggiosa, perché ci vuole coraggio, oggi, per difendere quel sistema di riferimento comune evocato in precedenza. I cattolici, dato che questo terreno comune è cristiano, e grazie al loro riflesso di trasmissione, ne fanno parte. Per certi versi, l’odio che subiscono ha prodotto come beneficio la liberazione da una tentazione: quella della notabilità. La contro-cultura è la loro. La trasgressione è dalla loro parte. Andare a messa è oggi più punk e controcorrente che sfilare al Gay Pride. Questo borghese, che è soltanto un povero che ha preso l’ascensore sociale grazie ai suoi sforzi, portava dentro di sé i valori di merito e lavoro. Che sono spariti con lui. La scuola, prima di Bourdieu, gli dava, oltre alle potenzialità materiali, un bagaglio culturale. E’ tutto finito: il notaio, il medico, l’industriale, ormai, sono solo dei tecnici superiori. Tutti si lamentano: non c’è più rispetto, autorità, educazione, onore, dignità, cara signora! Di chi è la colpa? Ci si rende conto che c’è un imbarbarimento della società, ma si continua a deridere ciò che aveva civilizzato questa società.
La società ha avuto l’impressione di togliersi una camicia di forza. Non dover rendere conto a nessuno, è favoloso! Individualmente è stata una liberazione. Collettivamente, una catastrofe
Lei va ancora più lontano: secondo lei, è la perdita dei codici e del savoir-vivre borghese che ha generato la “fabbrica dei maiali”, questi maniaci sessuali che oggi vengono denunciati su Twitter?
Sono stati “infranti i codici”, sono state deregolamentate le relazioni tra i sessi, così come sono stati deregolamentati i mercati. Per avere più libertà. Liberali e libertari hanno le stesse responsabilità. Le tappe intermedie, i “pre-contratti”, fastidiosi, come nel commercio, per la parte più impaziente di concludere e di consumare compulsivamente, ma che permettevano di costruire il consenso e di arrivarci con piena consapevolezza – corteggiamento, fidanzamento, matrimonio, etc. – sono sparite a favore di una relazione immediata, dove il più debole è spesso la vittima.
Ma allora, se ciò che le dice è vero, tutti sarebbero d’accordo con lei: le femministe, i professori, i politici di ogni orientamento…?
Il nostro mondo è reattivo nel dare la colpa ai propri antenati, ma lo è molto meno quando è lui stesso a dover fare atto di contrizione. E’ faticoso riconoscere di aver sbagliato, che non si sarebbe dovuto buttare il bambino con l’acqua sporca e allo stesso tempo papà e mamma, che l’arte di vivere che veniva considerata un ostacolo alla libertà era invece una colonna vertebrale, un muro portante che è stato fatto cadere con leggerezza perché si era convinti di respirare meglio, senza accorgersi che la casa sarebbe crollata. Per molti degli attori dei cambiamenti di società che abbiamo appena evocato, anche calpestare i valori borghesi era una forma di liberazione. La società ha avuto l’impressione di togliersi una camicia di forza, e pochi oggi la rimpiangono. Si stava veramente meglio prima? Non dover rendere conto a nessuno, è favoloso! Individualmente è stata una liberazione. Collettivamente, una catastrofe.
Mi perdoni se concludo questa intervista con una domanda più personale, ma lei, oltre a essere madre di famiglia, è caporedattrice di un sito di informazione online, opinionista alla televisione, presente sui social network, saggista… Non è propriamente l’immagine che si ha della borghese cattolica prima del ’68!
Effettivamente, non ho una camicetta di nylon né una messa in piega alla Claude Gensac (celebre per le sue interpretazioni accanto a Louis de Funès in molte sue pellicole, ndr)! Tuttavia, ho evocato il bianchetto di vitello, il bagnetto del bambino e il lavoro a maglia… Sul serio, non credo che la donna abbia aspettato il ’68 per avere un cervello. C’è una borghese cattolica prima del ’68, la cui influenza ha superato quella delle dirigenti del Cac40. Clotilde era fine, bella e misericordiosa. Si dice che Clodoveo fosse un capo magnanimo, ma a giudicare dal modo in cui ha risolto l’affaire del vaso di Soissons, non ha seguito nessuno stage di comunicazione benevola. Lungi dal denunciare il suo maiale, lo ha civilizzato. Convertendolo, e convertendo con lui l’intera Francia. Le dobbiamo la nostra civiltà. Accettiamone l’eredità con fierezza.
La traduzione è di Mauro Zanon
Il Foglio internazionale