Trump, Orwell e il linguaggio
Manipolare quello che diciamo non è appannaggio delle dittature Scrive il Financial Times (16/1)
Quando il romanzo ‘1984’ di George Orwell è uscito molti lo hanno interpretato come un’anatomia del totalitarismo: dopo le rivelazioni di Edward Snowden sul programma di spionaggio del governo americano nel 2013 è stato letto come un’anticipazione dell’epoca della sorveglianza digitale” scrive Simon Kuper. “Nell’era trumpiana dei ‘fatti alternativi’ il libro è tornato a essere visto come una difesa della verità. Sono un grande appassionato di Orwell e il suo libro a cui pensò più spesso non è ‘1984’ ma il saggio del 1946 ‘Politica e la lingua inglese’. E’ una guida indispensabile per chiunque vuole imparare a scrivere bene. Il saggio esprime una delle idee principali di Orwell: il linguaggio semplice è un antidoto alle bugie. Ma ho capito che non è vero. Donald Trump ha dimostrato che parlare in modo chiaro non è incompatibile con le bugie. Il saggio di Orwell ha distrutto il linguaggio politico degli anni Quaranta. I demagogi di ogni sorta usavano eufemismi, parole greche e latine per ‘trasformare delle bugie nella verità e legittimare gli omicidi’. Anziché dire ‘abbiamo massacrato delle persone’, dicevano ‘abbiamo liquidato gli elementi dell’opposizione’.
Orwell termina il saggio con le famose regole per la scrittura: evitare i clichés e i termini stranieri, scientifici e specialistici. Usare parole brevi e verbi attivi e infine ‘rompete ognuna di queste regole piuttosto che scrivere qualcosa di brutale’. Orwell mi aveva convinto del legame tra il linguaggio semplice e la verità prima dell’arrivo di Trump. Nei suoi discorsi e nei suoi tweet Trump rispetta tutte le regole di Orwell tranne quella sulle brutalità. Il presidente preferisce parole da una sillaba (‘costruite il muro’), riesce a essere conciso (140 caratteri) e non usa il greco.
Come Orwell, anche Trump comprende le regole della comunicazione. Il pubblico è annoiato prima che tu apri bocca; lo stile conta più della sostanza e i fatti non persuadono la gente (c’è un motivo se ‘ 1984’ è un romanzo e non un saggio). Se dici qualcosa di importante in una prosa di legno e indossando i vestiti sbagliati, nessuno ti ascolterà. Così come Orwell in ‘1984’, anche Trump sa che la storia più potente è un incubo con un eroe: ‘Gli immigrati stanno venendo a uccidervi ma io vi proteggerò’. Trump dimostra una verità raggelante: la politica oggi è comunicazione. Parlare in modo persuasivo non è più solamente uno strumento per vincere. E’ il gioco stesso.
Orwell associava il linguaggio chiaro al pensiero chiaro. Ma Trump dimostra qualcosa di diverso: il linguaggio semplice può incoraggiare il pensiero semplice. Non avendo un’ideologia di riferimento, Trump prende una politica complessa e piena di implicazioni e la rappresenta come una scelta netta tra il bene e il male. ‘L’accordo con l’Iran è un disastro’, ‘malsano’, ‘terribile’. Così come Trump mi ha reso diffidente sul linguaggio chiaro, Boris Johnson ha sfruttato per i suoi fini un’altra cosa che un tempo ammiravo: lo humour britannico. Dopo la Brexit ho capito che, specialmente in Gran Bretagna, lo humour consente a un politico di distrarre la gente da alcune verità dolorose. I demagoghi contavano sulla forza. Ma in una democrazia la lingua è molto più efficace”.
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