L'accusa del dissidente: la gestione del virus in Cina un altro crimine del Partito comunista
Silenzi e menzogne per una tragica realtà. Sotto la guida di Xi Jinping, sostiene Ma Jian, il partito si è mutato nella sua forma più sinistra
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
“Negli ultimi settant’anni, il Partito comunista cinese ha sottoposto il suo paese a una serie di catastrofi, dalla Grande carestia alla Rivoluzione culturale, provocate dall’uomo” scrive il dissidente cinese Ma Jian: “La gestione dell’epidemia di coronavirus di Xi Jinping deve essere aggiunta all’elenco vergognoso di crimini del partito”.
“Con gravi epidemie che si verificano in Giappone, Corea del Sud, Iran e Italia, è chiaro che il virus del dominio totalitario di Xi minaccia la salute e le libertà non solo del popolo cinese, ma di tutti noi ovunque. Il Partito comunista è un patogeno insidioso che ha contagiato il popolo cinese dal 1949. Ma sotto il dominio di Xi, si è mutato nella sua forma più sinistra, permettendo al capitalismo di crescere mentre riaffermava il controllo leninista. In un discorso del 31 dicembre 2019, Xi ha annunciato trionfalmente un nuovo anno di ‘importanza fondamentale per la realizzazione del primo obiettivo centenario!’”.
“Naturalmente, non ha citato la misteriosa polmonite riportata quel giorno dalle autorità sanitarie di Wuhan. In tempi di crisi, il partito pone sempre la propria sopravvivenza al di sopra del benessere delle persone. Li Wenliang, dell’ospedale centrale di Wuhan, è diventato il tragico simbolo di questo disastro. Il 30 dicembre ha informato i suoi ex compagni di classe di medicina su WeChat che sette persone con un virus non specificato, che gli ricordava Sars (il virus che ha ucciso quasi 800 persone nel 2003), erano in quarantena nel suo ospedale e ha consigliato loro di proteggersi. In qualsiasi società normale, questo non sarebbe considerato sovversivo, ma in Cina, anche un avviso cauto e riservato ai colleghi può mettere una persona in pericolo. Quando Xi si è degnato di riconoscere pubblicamente l’epidemia, il 20 gennaio, ordinando che fosse ‘contenuto in modo risoluto’, era troppo tardi. I video su WeChat e Weibo hanno rivelato la vacuità delle ambizioni di Xi. Filmati di viali abbandonati nelle città colpite. Cadaveri sui marciapiedi. Una donna sul balcone di un palazzo che geme al cielo: ‘Mia madre sta morendo, salvatemi!’. Mentre giaceva sul letto di morte il 30 gennaio, Li rivelò la verità sulla sua esperienza dell’epidemia”.
“Nonostante fosse un membro del partito, ha parlato con il New York Times dei fallimenti ufficiali nel divulgare al pubblico le informazioni essenziali sul virus e ha detto alla rivista con sede a Pechino Caixin: ‘Una società sana non può avere una sola voce’. In quell’unica frase, ha identificato la causa principale della malattia della Cina. Xi sopprime la verità e le informazioni per creare la sua utopica società ‘armoniosa’. I funzionari cinesi hanno riferito di 78.064 infezioni e 2.715 morti, principalmente a Hubei. Ma nessuno si fida delle cifre del partito. L’unica certezza sui numeri che rilascia è che sono i numeri che vuole farvi credere”.
“I media statali hanno pubblicato fotografie di infermiere in stato di gravidanza e in tuta ignifuga; pazienti mascherati in un ospedale da campo e che ottengono l’appartenenza al partito sui letti di morte, alzando gioiosamente i pugni in aria mentre promettono fedeltà immortale a Xi. Ora, con l’epidemia ancora in atto, Xi ha ordinato al paese di tornare al lavoro, il tutto per garantire che gli obiettivi economici siano raggiunti”.
Il Foglio internazionale