un foglio internazionale
L'occidente ora è accusato in nome dei suoi stessi princìpi
La volontà utopistica, e insensata, di ripulire il mondo, compreso il passato, da tutte le sue macchie, per renderlo perfetto, scrive il Figaro
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti
“Ci aveva reso felici veder decapitare le statue di Lenin e di Stalin”, scrive la filosofa francese Chantal Delsol. “Uscendo da un lungo periodo totalitario, durante il quale il volto del Grande fratello era onnipresente e monopolistico, la distruzione delle immagini detestate simboleggiava per i popoli sovietizzati il ritorno alla libertà. Il danneggiamento recente, per citarne alcune, delle statue di Schœlcher, Colbert, Faidherbe traduce la volontà di abolire una visione celebrativa del passato coloniale, dell’epoca in cui l’occidente dominava il mondo. Non si tratta più di un regime specifico, particolarmente odioso, come il regime sovietico. Si tratta dell’intera storia. Queste distruzioni della memoria si inseriscono in un movimento molto più vasto: si vorrebbero cancellare i nomi degli autori del passato sospettati di machismo o di razzismo – ossia tutti! Non si costruisce nulla su una tabula rasa, come ha ampiamente mostrato il Ventesimo secolo. Non si possono ripulire i secoli per ottenere la purezza totale – secondo i nostri criteri che forse non saranno più quelli dei nostri figli. La storia è sempre nera e bianca, piena di grandezze e di crimini, perché l’esistenza umana è nera e bianca. La cultura occidentale ha certamente dei contorni più marcati delle altre, molto nera perché la sua forza e la sua influenza sono immense, molto bianca perché inventa lo stato di diritto e i diritti dell’uomo. Ha praticato lo schiavismo come le altre culture e più di alcune altre; ma ne ha inventato l’abolizione. Ha colonizzato come gli altri e più degli altri, eppure ha decolonizzato non per debolezza, come le altre, ma, almeno in parte, per cattiva coscienza. La sua storia è nera e bianca, ed è lei che fa ciò che siamo, noi i discendenti. Abbiamo bisogno di conoscere e di celebrare questa memoria contrastata, per sapere e per giudicare.
L’attuale volontà di sradicamento può tradurre la volontà utopistica di ripulire il mondo, compreso il passato, da tutte le sue macchie, per renderlo perfetto. Progetto insensato e puerile: anzitutto perché la perfezione non è di questo mondo, poi perché la nostra generazione non ha per missione quella di decretare il bene per i secoli dei secoli, passato e futuro assieme. C’è qualcosa di terroristico e di nichilista nel degradare i personaggi del passato. Nel caso specifico, si tratta in questi giorni più di un enorme risentimento che di un’utopia scaduta. Una grande contraddizione attraversa i movimenti indigenisti e decoloniali che attaccano i simboli del nostro passato: detrattori dell’occidente, ne stanno tessendo le lodi in maniera sperticata. Il che, per loro, non vuol dire reclamare l’adozione delle regole di diritto del paese da cui provengono i loro genitori o di cui loro stessi sono originari. Chi di questi “razzizzati” (come si autodefiniscono) accetterebbe di veder applicare l’incarcerazione degli oppositori politici che è in corso in Algeria, la pena di morte che esiste ancora in Mauritania, l’infibulazione diffusa in tanti paesi africani?
I musulmani, che colonizzavano l’Europa da conquistatori fino al 1492, non si sono mai pentiti in seguito per questa impresa di forza. E anche le ragazze che portano il velo in Francia per scelta loro lo fanno, secondo Houria Bouteldja (presidente del partito degli Indigeni della Repubblica, ndr), per amore e compassione nei confronti della virilità ferita dei loro fratelli musulmani francesi, e non perché hanno voglia di vivere in una società dove la verginità delle ragazze è eretta a rango di valore metafisico. Ciò che reclamano i “razzizzati” non è la presa in conto delle loro identità, è l’habeas corpus applicato alla perfezione: questo habeas corpus che è tipicamente occidentale. Detto in altri termini, distruggono ciò che desiderano. Meccanismo ben noto del risentimento. E’ in nome dei nostri princìpi che veniamo accusati: non perché i nostri princìpi sarebbero cattivi (non preferiamo a essi delle forme di dhimmitudine o di schiavitù delle donne), ma perché non sono applicati con sufficiente perfezione. C’è una sorta di spiacevole effetto boomerang: con i diritti dell’uomo, abbiamo costruito una morale in politica con così tanta forza che ora ci viene reclamata l’attuazione integrale dei nostri discorsi idealisti.
Nel movimento decoloniale, c’è una contraddizione interna, un nodo angosciante che lascia intravedere il suo carattere patologico. L’attuale rivolta antifrancese è più un odio per mancanza di appartenenza che un odio brutale, detto in altri termini, è il risentimento e il rancore: vi odio non perché siete il contrario di me, ma perché non posso essere come voi. Dopo un’ondata di integrazione riuscita negli anni Sessanta, da una trentina di anni a questa parte si può parlare maggiormente di disintegrazione”.
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