Un Foglio Internazionale
Occidente in crisi, è l'ora dell'Europa
Ma per Jacques Julliard solo la coppia franco-tedesca può ridarle una forza e una visione
“L’accordo tra i ventisette stati membri che è appena stato siglato a Bruxelles è veramente ‘storico’ come ha dichiarato il presidente Macron? Solo la storia ce lo dirà”, scrive lo storico e saggista Jacquel Julliard sul Figaro del 3 agosto. “A seconda che i prestiti europei per finanziare il rilancio e gli inizi di una fiscalità europea che Macron invoca resteranno un’eccezione o al contrario diventeranno la norma, l’Europa comincerà a esistere veramente nella scena internazionale o continuerà a essere quel ventre molle che è, una facile preda per i predatori del pianeta, dai Gafa fino ai grandi imperi in via di ricostituzione (…). Mai, dal 1938, il cielo era stato così coperto e minaccioso. Non sono solo gli individui che il Covid-19 ha segregato; sono le nazioni democratiche nella loro interezza a essere paralizzate dall’unica preoccupazione della salute dei loro concittadini, mentre i dittatori di ogni specie si danno alla pazza gioia in un pianeta privato di ogni coscienza collettiva, di qualsiasi reattività democratica. Se è dunque troppo presto per dire che l’Europa è diventata adulta in questo mese di luglio 2020, è invece fuori discussione che stiamo vivendo uno dei più grandi cambiamenti del mondo dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non nella direzione che speravamo!
Riassumiamo: l’ordine internazionale che si sta sgretolando sotto i nostri occhi, come i ghiacciai sotto l’effetto del riscaldamento globale, risale al periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. Oltre a un’Onu che ha in poco tempo dimostrato la sua impotenza dinanzi ai grandi stati, è indubbio che da allora, sotto la minaccia sovietica, si è insediato un nuovo concetto politico destinato ad affrontarla: l’occidente. L’occidente come concetto politico non esisteva prima della guerra; il manicheismo staliniano ne ha fatto una necessità storica. Il piano Marshall, il Patto Atlantico, la corsa agli armamenti nucleari hanno modulato un mondo bipolare, insieme spietato e rassicurante, quello della Guerra fredda. Fortunatamente per la libertà e la pace del mondo, l’orco staliniano aveva gli occhi più grandi dello stomaco. La morte del tiranno (5 marzo 1953) ha inaugurato un lungo periodo, detto di ‘coesistenza pacifica’, che è durato fino alla data simbolica della caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, ossia trentasei anni durante i quali il sistema bipolare ha continuato a regnare sul mondo, senza tuttavia governarlo completamente. Segue un terzo periodo che si estende su poco più di un decennio, l’ultimo del Ventesimo secolo, fino all’attacco contro il World Trade Center dell’11 settembre 2001, durante il quale gli Stati Uniti sono soli al mondo, l’occidente è trionfante e il liberalismo è senza rivali. Si parla persino di una possibile ‘fine della storia’ (Francis Fukuyama), dominata da un sistema economico e sociale unico. Ma il crollo delle Torri gemelle è più che un simbolo: suona la fine di quel concetto di occidente fino a quel momento dominante. Gli Stati Uniti che ne sono i leader rinunciano per gradi alla loro egemonia mondiale, prima in maniera furtiva sotto Obama (2009-2017), poi in maniera brutale e cinica con l’avvento di Donald Trump. Quest’ultimo fa metodicamente esplodere tutte le istituzioni create dai suoi predecessori per dare consistenza all’occidente, a cominciare dalla Nato e tutti i patti regionali che permettevano agli Stati Uniti di dominare il mondo. Parallelamente, la struttura ideologica del mondo in due campi opposti, capitalismo e socialismo, perde qualsiasi significato a vantaggio di nuclei regionali che spesso resuscitano i grandi imperi del passato: la Russia di Putin succede allo zarismo, la Turchia di Erdogan all’Impero ottomano, la Cina di Xi Jinping alle dinastie imperiali. Per non parlare dei tentativi degli islamisti di ricostituire il califfato del passato. Questi grandi nuclei hanno un carattere comune, l’odio verso l’occidente e il revanscismo: tutti e quattro, a un determinato momento, sono stati vittime dell’occidente, dominati o sostituiti da questo difensore dell’idea democratica e di civiltà tecnica (…).
Dal 1945 abbiamo vissuto al riparo da un nuovo conflitto planetario, grazie in particolare alla reciproca dissuasione militare. Nulla ci dice che l’immenso regolamento di conti a medio termine che si annuncia tra Stati Uniti e Cina possa avvenire pacificamente. Stiamo entrando in un mondo autoritario, poliziesco e bellicista, è inutile ignorarlo ancora per molto tempo (…). Capitalismo, socialismo e imperialismo sono oggi inestricabilmente legati. L’occidente è morto? Meglio così. Forse è finalmente arrivato il momento dell’Europa. Forse era necessario che un Ubu re yankee abbattesse un idolo fittizio affinché quest’Europa, dopo mille tergiversazioni, si decidesse a esistere. Non solo come spazio economico e commerciale, ma anche come potenza. I nostri amici inglesi ci hanno abbandonato? Forse è il più grande regalo che ci abbiano potuto fare. Ho sempre pensato e detto, fino a passare per provocatore, di non essere mai stato favorevole a un’Europa a sei, a dodici, a ventotto o ventisette; sono sempre stato favorevole all’unica Europa suscettibile di diventare un soggetto politico: l’Europa a due (…).
Sono totalmente d’accordo con François Hollande che, salutando ‘l’importante progresso della solidarietà tra i ventisette stati membri’, ma constatando che l’Unione europea nella sua forma attuale non permette di andare tanto lontano quanto la situazione lo richiede, ‘invoca un’Europa che guarda al futuro con alcuni paesi attorno alla coppia franco-tedesca’. Insomma, non mettere in discussione nulla di ciò che è già stato fatto, ma generare un’ala marciante per fronteggiare la situazione eccezionale che si presenta dinanzi a noi”.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale