La nuova segregazione americana
Ricordate l’Urss? Gli Stati Uniti nella morsa di un esperimento ideologico distruttivo. Per Andrew Michta sul Wall Street Journal “sono vittima di un riordino della memoria collettiva”
“Il poeta e futuro premio Nobel Czeslaw Milosz cominciò a scrivere nel 1951 un libro intitolato ‘La mente prigioniera’, poco dopo avere defezionato dalla Polonia”, scrive Andrew Michta sul Wall Street Journal. “Mentre il totalitarismo stalinista irrigidiva la sua presa sull’est Europa, molti intellettuali dell’Europa occidentale lodavano il nuovo mondo del comunismo sovietico come un modello da seguire per superare ‘le forze borghesi’, che a loro dire avevano causato la Seconda guerra mondiale. Il libro di Milosz fu pubblicato nel 1953 mentre l’autore viveva a Parigi per avvertire l’occidente su cosa accade alla mente e all’anima in un regime totalitario.
Milosz sapeva che il totalitarismo non solo schiavizza le persone fisicamente ma debilita il loro spirito sostituendo il linguaggio umano ordinario, in cui le parole significano qualcosa nel mondo esterno, con un linguaggio ideologico, in cui le parole indicano ciò che il partito considera vero o falso. Le proteste su scala nazionale che hanno seguito la morte di George Floyd a Minneapolis, e che presto sono diventate una rivolta nazionale, sono state sabotate dalla sinistra neo marxista che le ha trasformate in un assalto alle città e alle istituzioni americane. Questo assalto è stato affiancato da un tentativo audace di riscrivere la storia che trasforma eventi specifici del passato in armi per prevalere sugli avversari politici, e che racconta la storia americana come una litania di trasgressioni razziali. I radicali hanno trasformato la razza in una lente da cui guardare la storia del paese, e non lo hanno fatto solo perché sono ossessionati dalla razza. Lo hanno fatto perché questo li aiuta a identificare e distinguere i gruppi che a loro modo meritano di essere sostenuti. Ci troviamo di fronte alla nuova segregazione dell’America, che culminerà con il rifiuto di tutto ciò per cui il movimento per i diritti civili si è battuto.
Ciò che alimenta i manifestanti radicali e i teppisti – che vengono sostenuti e manipolati dall’‘intellighenzia digitale’ nella stampa e in un settore sempre più ampio del mondo delle aziende – è il disprezzo per la libertà di tutto ciò che non si conforma alla loro idea di una società giusta. Nei sistemi autoritari chi detiene il potere cerca di mettere al bando alcune forme di attività sociale e politica. I totalitari pretendono di avere l’autorità incondizionata di penetrare nella coscienza dell’individuo. Loro impongono un’interpretazione del mondo e dettano il linguaggio con cui i cittadini possono esprimere quell’interpretazione. I regimi autoritari tendono a non intromettersi nella sfera privata dell’attività umana, mentre quelli totalitari distruggono i sistemi di valori tradizionali e cambiano la cultura. Questo è il motivo per cui è più difficile rovesciarli.
Quello che viene ingiustamente chiamato progressismo, e che ha dato vita a numerose richieste di smantellare le forze di polizia e distruggere le statue, è solo una piccola manifestazione di un grande progetto mirato alla rieducazione della cittadinanza americana. Lo scopo di questo progetto è quello di negare la storia della repubblica americana e sostituirla con una favola che si concentra solamente sulle categorie razziali e la narrazione di una presunta oppressione. La natura di questo esercizio, con la sua retorica martellante che oscura ogni complessità e sostiene un’interpretazione unidimensionale ritenuta ‘corretta’, è quanto di più vicino all’agitprop marxista.
Perché le élite americane, che dovrebbero avere ogni interesse a preservare la nazione che gli ha consentito di prosperare, sostengono gli sforzi per distruggerla? Il loro ragionamento sembra essere che i radicali che vandalizzano i monumenti e denunciano il passato dell’America stanno in realtà danneggiando gli americani ordinari e la loro storia, non quella delle élite. La classe dirigente al giorno d’oggi crede di avere l’obbligo di governare, piuttosto che servire, il cittadino comune e quindi non esprime alcuna critica verso gli studenti universitari che rovesciano le statue e i teppisti che distruggono i supermercati. Altrimenti, le élite rischierebbero di essere accusate di ‘populismo’ e ‘razzismo’.
Tuttavia, le élite stanno prendendo parte a un gioco pericoloso. La cancellazione dei personaggi del passato e del presente rispecchia ciò che è accaduto nel blocco sovietico durante l’epoca comunista, quando l’accusa di non essere sintonia con il partito era sufficiente a terminare la propria carriera o macchiare la propria reputazione. La questione va ben oltre le statue e la storia. Chiunque controlla i simboli del discorso politico può dominare la cultura e manipolare la coscienza collettiva. Se avete dei dubbi, allora chiedetevi perché c’è stata una resistenza così debole verso questi episodi di inciviltà da parte dell’americano medio. Sentiamo nelle nostre ossa l’ingiustizia della violenza che viene praticata sulla nazione ma non possediamo il linguaggio per poterla denunciare.
La nuova segregazione dell’America è fondamentalmente antidemocratica e antiamericana. Crede in una gerarchia sociale basata sul Dna ed è ugualmente incompatibile con i princìpi della libertà individuale e del governo costituzionale. Di conseguenza questa ideologia intende rinnovare la Costituzione americana, riscrivere i libri di testo e ristrutturare i musei sulla base delle quote di genere e di razza. La democrazia non può sopravvivere in una società in cui vincitori e vinti vengono determinati in modo arbitrario e secondo un criterio che prescinde dal controllo dell’individuo. Ogni società costruita sulla base del colore della pelle diventerà una casta in cui il caso, e non il merito, determinerà i vantaggi e benefici. La società civile verrà seppellita una volta e per tutte.
L’attuale moda radicale porta con sé i semi di una violenza mai vista negli Stati Uniti dai tempi della Guerra civile. Gli attivisti nelle città americane insistono sul dominio dei loro princìpi ideologici, senza vedere alcuna alternativa. Questo assolutismo costringe gli americani ad abbandonare il compromesso politico e sposare il fanatismo, dove una parte ritiene di avere il monopolio della virtù mentre l’altra è costretta riconoscere di essere una forza maligna, e dunque paga una penitenza per i torti reali e immaginari compiuti nell’arco della storia.
Una discussione onesta e libera da ogni dogma ideologico può avvenire solo quando lo stato darà vita a un dibattito franco sulla storia. Solo a quel punto la società raggiungerà un’idea comune sul proprio passato e su come potrà essere formata la propria memoria collettiva. Gli Stati Uniti oggi sono scossi da spasmi di violenza e intolleranza perché il governo a tutti i livelli – dal sistema di istruzione pubblica, agli stati che consentono alla università di stabilire delle restrizioni in tema di libertà di espressione, fino alle decisioni dei tribunali che di fatto escludono il discorso politico dalla categoria dei temi protetti dalla libertà di stampa – ha abdicato al proprio ruolo di proteggere lo spazio pubblico. I bambini si scatenano in città perché gli adulti hanno lasciato la stanza.
L’America è nella morsa di un esperimento ideologico distruttivo, ed è vittima di un riordino della memoria collettiva che viene tollerato dallo stato. Nel frattempo la sinistra sempre più totalitaria ha un ampio spazio per dominare il discorso pubblico. Milosz, che è morto nel 2004, direbbe che la mente americana è stata compromessa dall’identity politics e dalle istanze di alcuni gruppi che vengono diffuse dagli ideologi nelle scuole in tutto il paese. Queste ideologie sono quasi riuscite a rigenerare la nostra politica e cultura: vengono rafforzate da un sistema mediatico abituato al pensiero di gruppo, dai burocrati e da una classe politica americana che è cresciuta in università che sono diventate fabbriche dell’uniformità intellettuale.
La società americana si trova davanti a due possibili strade. Può scegliere di respingere l’assalto della retorica neo-marxista oppure soccombere all’impulso totalitario che si è impadronito della nostra politica. Non è sufficiente aspettare le prossime elezioni, o riporre le nostre speranze nella ‘maggioranza silenziosa’ che a un certo punto metterà fine alla follia. Potrebbe non esserci questa maggioranza. Oppure i suoi membri potrebbero non essere più in grado di articolare ciò che succede attorno a loro. E’ difficile chiamare le cose con il proprio nome in una società le cui élite si ostinano a chiamare i vandali ‘manifestanti’, i monumenti nazionali ‘simboli di razzismo’, e le vittime del teppismo ‘beneficiari del privilegio bianco’. La sfida è enorme, ma inizia con il gesto semplice di chiamare le cose con il proprio nome”.