Itamar K.
Iddo Netanyahu
Besa editrice, 241 pp., 16 euro
Il romanzo di Iddo, fratello minore di Bibi e Yoni Netanyahu, descrive come il conformismo abbia invaso e falsificato il mondo intellettuale israeliano, in nulla e per nulla oggi diverso dal suo omologo americano ed europeo. Tornato in Israele dopo un soggiorno negli Stati Uniti, il protagonista cerca sostegni e finanziamenti per girare un film sul cantante Shaul Melamed, ma il primo, decisivo intoppo è proprio l’ambiente in cui si trova a discutere del film, un ambiente di intellettuali israeliani di sinistra il cui estenuante, ripetitivo modo di pensare e di esprimersi appare subito a Itamar come profondamente stonato rispetto all’etica pragmatica da cui era nato Israele. Itamar è subito un elemento fuori posto nel contesto intellettuale con cui si confronta, un contesto che Iddo descrive ironicamente come baciato da “un’armonia ideale”. Così, Itamar si sente spaesato e quasi in colpa di fronte all’invito di Kaganov: “Itamar, devi imparare a ragionare in modo non convenzionale, direi quasi audace. Pensa soltanto a quanto sarebbe innovativo un film sul canto senza musica”. L’invito di Kaganov è un pugno in faccia per Itamar. Stordito da ciò che sentiva intorno a sé, ben presto egli è quasi forzosamente calato in una realtà in cui la critica alla politica israeliana da parte degli intellettuali della buona coscienza di sinistra acquista spesso aspetti grotteschi anche di fronte a fenomeni di terrorismo arabo inequivocabili. Tuttavia, questa realtà scivola via nei discorsi sempre più evanescenti dei suoi interlocutori. Uno di questi, Nurit Lerman, riferisce di un’intervista rilasciata da lei e da altri tre a un giornalista di una televisione francese: “E’ stato meraviglioso che noi quattro fossimo tutti d’accordo, che non avessimo opinioni discordanti, che i nostri punti di vista coincidessero del tutto e fossero condivisi anche dal conduttore francese”. La critica degli amici intellettuali inevitabilmente finisce per colpire il tema stesso del film che Itamar intende girare. Melamed aveva giustificato la nascita dello stato di Israele e questo non poteva che dimostrare ai loro occhi l’“insensibilità emozionale” e la “sordità morale” di Melamed. Poi, emerge nelle discussioni il giudizio su Melamed, e sul valore stesso di un’opera d’arte. Per i politicamente corretti che angosciano le giornate di Itamar, il valore di un’opera d’arte varia “in relazione al cambiamento dei gusti e delle idee”, sostiene Rita.
Itamar è letteralmente scioccato da quest’affermazione inaudita, seguita da un’altra per lui sempre più incomprensibile: “L’interpretazione è veramente arte?”, dice Menachem Muram. Itamar torna a casa traumatizzato. Rita è innamorata di Itamar, ma Itamar percepisce che c’è in lei un’insoddisfazione che non sa spiegarsi. Lo capirà alla fine del romanzo: Rita desiderava che Itamar la pensasse come lei. Il cerchio, così, si sarebbe chiuso in un’armonia perfetta, in un conformismo di vedute straordinariamente eccitante. Il romanzo di Iddo va al cuore del problema centrale della nostra civiltà occidentale di oggi: la confusione terribile tra il vero e il falso, un dilemma che nella vicenda di Itamar, alla fine del romanzo, acquista toni di autoironia, quando egli viene convocato per l’ennesima volta da Kaganov, al solito caffè, alla solita ora: “Chissà quale altra mina può scoppiarmi sotto il sedere?”. Tornando a casa, Itamar legge il cartellone della “Casa del teatro” e considera con amara ironia che in quella sala si stavano in quel momento recitando due interi spettacoli contemporaneamente.
ITAMAR K.
Iddo Netanyahu
Besa editrice, 241 pp., 16 euro