Il nemico ritrovato. Carl Schmitt e gli Stati Uniti

Giuseppe Perconte Licatese

Andrea Mossa
Accademia University Press, 296 pp., 24 euro

Gli Stati Uniti ricorrono in molti dei nodi decisivi della riflessione di Carl Schmitt, come dimostra questo eccellente studio di Andrea Mossa. Nel 1917 essi entrarono in guerra come “nuovo occidente” contro la vecchia Europa, e Schmitt avrebbe avversato il loro progetto di ordine internazionale, pur riconoscendo che essi erano la nemesi di un continente debilitato da rivoluzioni e restaurazioni ugualmente ineffettuali.
Gli Stati Uniti sono legati al giurista, e in modo singolare, anche per il destino degli accademici tedeschi, per lo più ebrei, qui emigrati negli anni Trenta. Per molti di essi Schmitt era infatti il “denominatore comune” degli anni di Weimar, lo stimato interlocutore che d’un tratto aveva aderito al regime da cui quelli erano fuggiti. Era il caso, tra gli altri, di Waldemar Gurian, fondatore alla Notre Dame della prestigiosa Review of Politics, o di Carl J. Friedrich, studioso del totalitarismo a Harvard. Il tema di questi dialoghi “interrotti” (perché le scelte politiche di Schmitt avevano indotto al ripudio della sua eredità intellettuale) ha un grande valore nella storia della teoria politica in America, ma si è anche prestato a fraintendimenti e a vere e proprie falsificazioni. Mossa illumina il primo e confuta le seconde, il caso più famoso delle quali riguarda Leo Strauss. Nei primi anni Duemila, non era raro leggere che le teorie di Schmitt sullo stato d’eccezione e sulla guerra, con la mediazione del filosofo, venivano messe in pratica dai neoconservatori, ma si trattava del tentativo di squalificare questi ultimi stabilendo collegamenti esoterici tra loro e Strauss e quindi, con una considerevole distorsione del pensiero di entrambi, tra Strauss e un pensatore presentato come “nazista”.

Si leggano piuttosto le pagine che Mossa dedica al confronto tra Strauss e Schmitt, che ebbe luogo e che è filosoficamente significativo. Ma forse la scoperta più avvincente riguarda Hannah Arendt. L’autore ha sfogliato le copie dei libri di Schmitt da lei possedute, dove ad aspettarlo ha trovato una trama di sottolineature, glosse, appunti che si sono rivelati indizio di attenta lettura e, soprattutto, inizio di un confronto proseguito in opere in cui Schmitt, anche quando non espressamente citato, è il riconoscibilissimo antagonista teorico.
Arendt voleva riscoprire una tradizione di pensiero alternativa a quella incentrata sulla sovranità, e per farlo sentì di dover affrontare “il più brillante avvocato” che questa aveva avuto nel Novecento.
E mentre Carl Schmitt, come tutto il pensiero reazionario, non era riuscito secondo lei a rimediare alla Rivoluzione francese, ma ne aveva soltanto replicato la violenza, era alla Rivoluzione americana del 1776, e al suo paradigma di partecipazione e di libertà politica, che si doveva ritornare.

 

IL NEMICO RITROVATO. CARL SCHMITT E GLI STATI UNITI
Andrea Mossa
Accademia University Press, 296 pp., 24 euro

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