Scritti di Rodez
Antonin Artaud
Adelphi, pp. 380, 32 euro
A recensire libri, a volte si rischia di dire niente dei luoghi in cui sono stati scritti. Prendiamo Rodez, cittadina dei Midi Pyrénées; è Francia profonda, larghi fiumi, pascoli e boschi. Ma il destino di Rodez è legato alla figura tutto fuorché bucolica di Antonin Artaud: c’è un contrasto stridente tra l’essenza parigina e cosmopolita dell’artista sulfureo e la campagna. Il commediografo, drammaturgo, scrittore, regista e attore trascorse un po’ del suo tempo travagliato nel manicomio locale. Gli Scritti di Rodez raccoglie l’epistolario di uno dei frequenti periodi di internamento. Artaud era stato arrestato nel 1937 a Dublino, dove si era recato per rendere agli irlandesi il Bastone di san Patrizio. Ne guadagnò l’espulsione come “indigente e indesiderabile”, lui, che a Parigi frequentava le élite intellettuali e aveva già scritto – si perdoni il gioco di parole – come un matto. Antonin non meritava un destino di docce gelate, cibo scarso e quell’aria di greve follia che a star rinchiusi prende l’anima, un po’ come un virus il corpo. Una volta sbarcato a Le Havre già gli avevano messo la camicia di forza; iniziò a passarsela un po’ meglio proprio a Rodez, dove fu trasferito nel 1943 e rimase tre anni. Artaud soffre il forzato romitaggio. Lo si capisce dall’isolamento intellettuale inscritto nelle lettere: ce n’è una indirizzata a Picasso, altre ad André Gide, ma per lo più sono per la madre e per il dottor Ferdière, che nella sua clinica sperimentava “l’arte terapia”. Ma purtroppo era anche un alfiere dell’elettroshock: Artaud ne subì troppi e certo non gli fecero bene. Con Ferdière, Antonin instaura quel curioso rapporto para-amichevole che si crea tra medico e paziente, con accenti a volte confessionali, altri sadomasochistici. Artaud era pazzo? Forse. Eppure arte e follia, nel secolo breve, spesso sono una sorta di Giano bifronte o, se preferite, l’una lo specchio dell’altra. Perciò i deliri di Artaud incantano. Egli naviga tra demonio e santità; è convinto che sua madre, di origine medio-orientale, porti lo stesso cognome di una delle Marie del mare, giunte in Francia dopo aver lasciato il Cristo e la Palestina. “Sono trattato come un paria in tutti i manicomi, e disturbi psichici non ne ho”, dichiara candido allo psichiatra-aguzzino. Perché come altro può essere definito chi osa dissezionare la mente di un genio? E questo in barba al fatto che fosse egli stesso un poeta dilettante e proprio grazie a lui, dopo un lungo silenzio, Artaud riprese in mano la penna. Il padre del Teatro della Crudeltà tornava lentamente a se stesso. La sua grandezza traspare da queste epistole di gran classe, piene di suggestioni religiose, talora del timore del demonio e della magia, a volte di pura paranoia. Non mancano frasi memorabili. Questa basti per tutte: “Il Male non si richiuderà sulla disperazione della coscienza corporale. Quello che è la donna per l’anima non è il corpo ma l’abisso di un cuore”.
SCRITTI DI RODEZ
Antonin Artaud
Adelphi, pp. 380, 32 euro

Una Fogliata di libri
Due ore di pace, non di più. Lettera dal terzo millennio


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