Recensioni foglianti

Tutto è possibile

Piero Vietti

Elizabeth Strout
Einaudi, 216 pp., 19 euro

Non serve aver letto il suo romanzo precedente per apprezzare questo nuovo gioiello di Elizabeth Strout, ma chi lo ha fatto sorriderà ritrovando molti dei personeggi di cui la protagonista di Mi chiamo Lucy Barton parlava alla madre dal suo letto di ospedale. Non è un vero romanzo, i nove capitoli di Tutto è possibile sono altrettanti racconti collegati tra loro (lo stile è quello di Olive Kitteridge, con cui la Strout vinse il Pulitzer nel 2009): innanzitutto da Lucy Barton, scrittrice cresciuta in miseria ad Amgash e poi volata a New York dove ha conosciuto fama e fortuna. Un suo libro sui propri ricordi di infanzia mette in moto le vicende raccontate da Strout in queste nove storie piene di miseria, cicatrici e tristezza, ma mai disperate. Ciò che unisce la storia di Tommy Guptill, che ha perso il suo caseificio in un incendio e ha passato il resto della sua vita a fare il bidello, quella di Mississippi Mary, che incontra l’amore in Italia quando pensava di averlo perso, quella di Charlie, deluso dalla moglie e dall’amante, che trova un attimo insperato di pace nella condivisione silenziosa di una serata davanti alla tv con la proprietaria di un bed & breakfast, quelle di Pete Barton, delle Principessine Nicely, di Annie, di Abel, di Linda e di Dottie, è la grazia. Albert Camus diceva che “la grandezza arriva, a Dio piacendo, come un bel giorno”. E come un bel giorno in ogni racconto di Tutto è possibile arriva un momento di illuminazione, di pace, di connessione tra le persone che restituisce un senso a vite anonime, periferiche e malinconiche. Il finale di ogni capitolo ricorda quello di tanti racconti di Flannery O’Connor, con un avvenimento imprevedibile che accade e cambia – o promette di cambiare – i protagonisti. Non sappiamo cosa faranno loro, se asseconderanno questa rivelazione – che arriva nei modi più diversi: un innamoramento, la scoperta di un vizio taciuto per anni, un abbandono, persino un infarto – o torneranno a sprofondare nella mestizia delle loro esistenze. Quello che sappiamo, e che Elizabeth Strout ci ripete con la sua scrittura limpida, è che non c’è ferita che non possa essere curata, non c’è dolore che non possa essere lenito, e non c’è lacrima che non possa essere asciugata. Siano esse dovute a un trauma collettivo – la guerra, le cui conseguenze per chi l’ha fatta nessuno osa raccontare – a privati abusi sessuali subìti da bambini o alla cattiveria della gente che non ha pietà di chi è povero, o grasso. La grazia di Tutto è possibile non è strettamente religiosa, ma in ogni pagina del libro si percepisce la necessità di un Dio che può consolare. Ci sono personaggi che sentono il bisogno di pregare, ma non sanno come fare. E c’è, costante, la presenza di un mistero dentro a cui le vicende umane sono immerse, una luce che le illumina dando loro un significato più vero – non per forza più giusto – di quello che gli uomini e le donne che si muovono nelle pagine di questo libro possono immaginare. 

 

TUTTO E' POSSIBILE
Elizabeth Strout
Einaudi, 216 pp., 19 euro

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.