recensioni foglianti
Tutti i nostri errori
di Mario Fortunato, Bompiani, 320 pp., 17 euro
Il celebre aforisma di Oscar Wilde, per cui “l’esperienza è semplicemente il nome che diamo ai nostri errori”, viene spesso citato in modo garbatamente cinico. In realtà, la sua saggezza è più profonda, giacché, a ben pensarci, è vero che il meglio della vita è sempre tutt’uno col suo peggio, che l’uomo è gloriosamente bello (lo sapevano bene i greci, innamorati dello splendore fisico, le cui tragedie però avevano come eroi i ciechi, i mendicanti, gli sconfitti) proprio perché l’uomo è anche brutto, ferito, balbettante, confinato in dimensioni che sente soffocanti, spesso incapace di realizzare le sue aspirazioni più profonde. Eppure, in tutto questo, ognuno vaga (“erra”, appunto) sempre e solo alla ricerca di come essere felice. E’ la stessa intuizione che comunica il bel titolo di questa raccolta di racconti di Mario Fortunato, che risalgono fino ai suoi esordi letterari e li propongono in un nuovo percorso ampliato, che dialoga con la scrittura di amici come Tondelli e modelli come Isherwood. Vi incontriamo la giovinezza inquieta, che sente il bisogno di passeggiare tra i cimiteri, e la maturità in crisi che, per credersi ancora giovane, ancora viva e creativa, esige la terapia d’urto di corteggiamenti sempre nuovi. Così come le pulsioni preistoriche delle nostre ansie e gelosie (“guardo il telefonino quasi fosse un talismano. Se lo tengo d’occhio, mi dico, magari squilla) e la faccia rugosa del Premio Nobel Auden, “arresa allo sguardo altrui come di norma lo è un letto sfatto”, le incomprensioni e le consegne tra generazioni (“i figli non capiscono quasi mai i propri genitori e, quando lo fanno, di solito si sono già trasformati in sagome tarchiate e irriconoscibili: il che significa che nel frattempo si sono trasferiti in un altro mondo”) e belle intuizioni controintuitive (“da ragazzi, raramente si è spontanei”). Sedici racconti su eventi grandi e piccoli, che descrivono una singola giornata o anni di vita tormentati da un ricordo. Vicende spesso percorse da un gioco di specchi metaletterario: con le vite e le opere di altri scrittori, oppure con la gioia e lo strazio della scrittura stessa, che a sua volta aspira a salvare i momenti di felicità, a esplicitare il non detto, a decifrare gli scarabocchi delle nostre giornate.
Uno specchio dinanzi a cui arrestarci, e provare a fare i conti, fronteggiando anche le viltà e i compromessi. Imparando, magari, persino a sorridersi, e fare pace con se stessi: “Si dice che la storia della coscienza cominci quando si pronuncia la prima bugia. Wystan era convinto che la poesia avesse a che fare con la verità e che mentire corrispondesse al più alto grado di alienazione da sé. In altre parole, significava invecchiare. A febbraio di quell’anno aveva compiuto cinquantuno anni e, sul finire dell’estate, si rese conto che la vecchiaia sarebbe piombata su di lui in quattro e quattr’otto, come un temporale o anche come la fine di una vacanza. Probabilmente fu per questo che si rassegnò a mentire”.
TUTTI I NOSTRI ERRORI
Mario Fortunato
Bompiani, 320 pp., 17 euro
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