recensioni foglianti
La felicità domestica
Lev Tolstoj
Fazi, 144 pp., 17 euro
Già la pubblicazione di un romanzo di Tolstoj è di per sé un fatto degno di nota; se poi la traduzione è di Clemente Rebora, lo si può a buon diritto definire un evento. Anche se lo scritto conta poco più di cento pagine e alla sua prima uscita era stato accolto con una certa freddezza. Aveva infatti avuto sorte mediocre questo lavoro poco noto dello scrittore trentaduenne, già famoso per gli strepitosi racconti, ma ancora lontano dalla gloria eterna guadagnata da Guerra e pace e Anna Karenina. Della moglie infedele c’è già traccia in questo romanzo breve, in cui una coppia vede sfumare l’amore, sostituito in fretta e furia dalla trappola ipocrita dell’incomunicabilità e del rancore silenzioso. Per scomodare il cinema, si potrebbe tentare una definizione icastica: eutanasia di un amore. Ma qui non è necessario, perché siamo alle prese con Tolstoj, che già da giovane sfodera l’arte inimitabile di incollarti alla pagina, riga dopo riga, coinvolgendoti nella storia, anche se è fatta di remoti cerimoniali dell’alta società, pudori ottocenteschi e dialoghi intimisti. E’ doveroso ammetterlo: il merito spetta in parte al grande Rebora. Infatti, solo quando il traduttore è esso stesso scrittore si compie il miracolo di leggere un capolavoro niente affatto tradito, nonostante la distanza siderale che intercorre tra la lingua italiana e quella russa. Del resto il nostro poeta quella lingua la conosceva bene: negli anni della Prima guerra mondiale aveva vissuto una storia d’amore con la pianista russa Lidia Natus, con la quale aveva convissuto, a Milano, in via Tadino. Viene da chiedersi quante conversazioni con la musicista gli siano state d’ispirazione per dire l’amore nascente tra Mascia, che suonava il piano, e il suo maturo corteggiatore. I due si sposano con molte speranze nel cuore, ma la “felicità domestica” s’incrina quando dalla campagna si spostano a Pietroburgo, dove le tentazioni mondane sono fin troppe e Mascia, ventenne, si fa prendere dal capogiro dei balli e mostra la leggerezza dell’età e dell’inesperienza. Imperdonabile, fuori luogo, inaccettabile per il marito, che la esclude dal ruolo di amante per relegarla in quelli di madre e moglie. Basta salvare le apparenze, il resto, ormai, che importa? Non troviamo, qui, i finali maestosi cui Tolstoj ci ha abituati: solo una promessa di noia e mestizia. Che Rebora ha inteso bene con questo titolo crudele, nel suo richiamo alla quotidianità, preso da un inciso particolarmente denso di significati. Erano già apparse altre versioni di questo romanzo breve, sulle quali il poeta ironizza amaro, giudicandole indirizzate “alle esistenze malmaritate”: Il romanzo di un matrimonio. Ammette Mascia, ormai sconfitta: “Quando, caso raro, rimanevamo soli, io non provavo con lui né gioia né emozione né smarrimento, così, come a restar con me stessa”. E quale felicità domestica maggiore può mai esserci, tra due estranei che si conoscono fin troppo bene?
LA FELICITA' DOMESTICA
Lev Tolstoj
Fazi, 144 pp., 17 euro
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